Chi frequenta Anobii lo sa bene: a volte (piuttosto spesso, a dire il vero) appena terminata la lettura di un libro ti ritrovi a domandarti: “E a questo, quante stelline posso dare?”. Naturale che non capiti nè con i capolavori assoluti (per i quali cinque stelle sembrano perfino poche) nè con quei romanzi da cui ti sei lasciato sedurre dalla sinossi in quarta di copertina (e che vorresti utilizzare per accendere il camino, se mai ne avessi uno).
No, i libri che ti provocano il problema di votazione sono sempre quelli che non ti sono dispiaciuti e, assieme, non ti hanno convinto del tutto.
Ecco, io mi sto domandando da un paio di giorni quante stelle darò a “La vita facile” di Richard Price, autore noto per aver dato alle stampe “Clockers” (da cui fu tratto un film di Spike Lee) e per aver sceneggiato “Il colore dei soldi”, ricevendo anche una nomination all’Oscar. Minimo comun denominatore nell’opera narrativa di Price sono l’ambientazione, assolutamente americana e decisamente newyorkese, ed una attenzione costante per gli abitanti più disagiati – e non ci riferiamo al solo lato economico – della grande metropoli.
L’inevitabile effetto è che si tratti di romanzi privi di “eroi” e, verrebbe da dire, anche di protagonisti: tutti i personaggi che concorrono ad una trama certamente ricca ed ambiziosa hanno un lato oscuro difficile da gestire, inciampano in sassi che sembravano evidentissimi o, più banalmente, subiscono il fascino malsano del male di vivere. L’effetto non è spiacevole, sia chiaro, ma mi son reso conto di aver perso l’attenzione una serie innumerevoli di volte, per qualcosa che non era certamente noia ma che non era, senza alcun dubbio, puro interesse.
E mi son sorpreso a chiedermi come mai: non poteva esserci una responsabilità della storia narrata, che ha il profumo di un giallo e non si allontana troppo dai mie gusti, e non poteva essere colpa della struttura estremamente dialogata, se è vero che il primo interrogatorio di Eric (35enne barista trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato) è un pezzo di bravura che rende giustizia alla fama di sceneggiatore di Price.
Semplicemente, ho avuto come l’impressione di un impasto tirato con il matterello fino a renderlo davvero sottile e quasi insopportabilmente lungo: una sforbiciata di un centinaio di pagine non avrebbe affatto nuociuto, e avrebbe tolto dalla mia mente l’impressione di un autore che abbia cercato – a tutti i costi – di produrre un “grande romanzo sociale americano” da tramandare ai posteri. Ripenso alle narrazioni brevi di Paul Auster, e sulla seggiola del narratore USA da inserire nelle antologie ci piazzo lui, ecco tutto.
Ed alla fine le stelline su Anobii son soltanto tre.
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Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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