Non sai mai se chiamarla coincidenza, fato o segni del destino. Fatto sta che ti trovi immerso nella lettura di un libro su un tram sferragliante nel centro di Milano, alzi la testa, e ti rendi conto che sei all’ombra dell’imponente Tribunale, e che sulla facciata campeggiano le foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, accompagnati dai nomi di chi cadde con loro negli attentati di Capaci e di via d’Amelio.

Sotto gli occhi, scorrono le parole e le pagine di “Non voglio il silenzio”, romanzo scritto da una coppia di mani ottimamente assortita: Patrick Fogli, già autore di quel “Il tempo infranto” che racconta la strage di Bologna, e Ferruccio Pinotti, giornalista ed autore di libri inchiesta su massoneria, poteri forti, economia criminale. In una parola, l’unione tra un talento narrativo tra i più interessanti del panorama italiano contemporaneo e un esponente di quel giornalismo d’inchiesta di cui a volte si sente decisamente la mancanza.

Nel racconto delle vicende di due generazioni di giornalisti, “Non voglio il silenzio” ti risucchia inesorabilmente in un gorgo di sporchissimi affari, in una Cosa Nostra ben più radicata nell’economia reale di quanto si sia soliti immaginare, in una successione di fatti storici e legati alla nostra attualità che atterriscono. Abbiamo da poco terminato di ricordare i due magistrati trucidati nel 1992, Milano si e’ fermata poche ore fa a commemorare i morti di Via Palestro e la cronaca in questi giorni racconta di trattative Mafia-Stato, di accordi indifendibili che sfiorerebbero altissime cariche nel nostro Paese. Ebbene, forse è il momento migliore per affrontare questo romanzo toccante e durissimo, per farsi affascinare da figure pulite che soffrono nella ricerca di una cosa sola: la Verità.

Ed è un anelito che, seppur confinato nella finzione letteraria, riempie il cuore di speranza. Fogli e Pinotti tratteggiano una serie di personaggi lontani da ogni stereotipo,  intensi, indimenticabili. Dalla testarda Elena al padre della voce narrante, Adriano, costretto su una sedia a rotelle da un incidente che non sembra tale, fino ad arrivare al magistrato Daniele, ci si sorprende a provare affetto per degli eroi di carta che sembrano voler iniettare nelle nostre vene fiducia e coraggio. Una sorta di commozione che ricorda quella che ho provato nel vedere i giovani siciliani festeggiare sotto le finestre della Catturandi, con cori da stadio e partecipazione civica che mostrano il meglio di quella terra tormentata. E’ un accostamento che, ne sono certo, farà piacere ai due autori.

La citazione:
“L’arma più potente che resta è il coraggio di mettere un punto interrogativo in fondo a una frase e pretendere una risposta che abbia senso.”

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