Le Olimpiadi del 1968, ospitate da Città del Messico, hanno collezionato una serie di momenti storici difficili da ritrovare in una sola edizione dei Giochi. Abbiamo raccontato dei pugni guantati sul podio di Tommie Smith e John Carlos, dobbiamo ricordare anche l’incredibile balzo di Bob Beamon che, con una distanza di 8 metri e 90, vinse l’oro nel salto in lungo e stabilì un record mondiale destinato a durare per la bellezza di 23 anni ed un primato olimpico ad oggi ancora imbattuto.
Per gli appassionati di corsa sulle lunghe distanze e per gli amanti delle belle storie sportive, però, Città del Messico richiama alla memoria l’impresa di un atleta africano dal nome impossibile da ricordare.
La maratona ha il privilegio di assegnare l’ultima medaglia d’oro alle Olimpiadi e di segnarne così contemporaneamente il clou e la fine. La capitale messicana stava dunque preparando il proprio ritorno alla normalità quando lo starter diede il via all’ultima gara in calendario. I 75 atleti partecipanti si avventarono sul percorso tradizionalmente tracciato per 42 chilometri e 195 metri: tra di loro anche Abebe Bikila, storico trionfatore in quello che fu probabilmente il più suggestivo percorso di sempre a Roma nel 1960. Un atleta entrato nel cuore di tutti per aver completato la maratona olimpica romana a piedi nudi: l’etiope non era infatti abituato all’uso delle scarpe da corsa e se ne liberó immediatamente.
Bikila aveva trionfato anche nella successiva edizione di Tokio 1964 e, nonostante l’età non più giovanissima, risultava ancora tra i favoriti, ma fu costretto al ritiro dopo 17 chilometri a causa di un infortunio. La corsa fu così dominata da Mamo Wolde, etiope anch’esso, che completó la maratona con tre minuti di vantaggio sul giapponese Kenji Kimihara e fu premiato con la medaglia d’oro.
Ed e’ in questo momento – dopo la premiazione, dopo le foto di rito, mentre il pubblico inizia a sfollare – che si consuma un momento olimpico per eccellenza: con più di un’ora di ritardo e con un fisico che mostra i segni di una caduta John Stephen Akhwari, atleta della Tanzania, entra nello stadio e muove zoppicando verso il traguardo.
Non si può abbandonare una corsa olimpica: non si può, in particolare, se senti la responsabilità di rappresentare un popolo, e se – come dichiaró Akhwari – “My country did not send me to 5,000 miles to Mexico City to start the race. They sent me 5,000 miles to finish the race”. E quindi si barcolla fino all’ultimo metro, anche se i tuoi avversari sono già usciti dagli spogliatoi e dallo stadio. Ed il pubblico che torna sugli spalti per acclamarti e’ la colonna sonora delle Olimpiadi.
A poche ore dall’inaugurazione di Londra 2012, è il nostro ricordo migliore.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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