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Un mediometraggio di 61 minuti di pura perplessità segnato da una iniziale corsa al posto, perchè Mekong Hotel è una di quelle proiezioni speciali che qui a Cannes si attendevano con impazienza. Il talentuoso regista thailandese presentava infatti la sua nuova opera: un ibrido a cavallo tra il film e il documentario che, secondo la meravigliosa penna che ha composto la sinossi, sarebbe dovuto essere una sorta di incontro tra due paesi, la Thailandia e il Laos, divisi da un fiume – il Mekong – carico di storia grazie al suo lungo percorso.

L’autore ci mostra una prova generale sulle sponde thailandesi dei fiume, occasione surreale in cui i personaggi ricordano la storia, la politica ed il proprio passato personale grazie anche alla presenza della madre/ vampiro (?) della protagonista. Ma i dubbi sorgono quasi all’istante, tutti i presenti rimangono ben saldi alla propria poltrona faticosamente conquistata, in attesa che qualcosa cambi, ma a parte il sopraggiungere dell’insofferenza, delle prime fughe e di inequivocabili crolli tra le braccia di morfeo, nulla di buono accade.

L’atmosfera è quella del film impegnato, cosiddetto d’autore alla francese di qualche decade fa (e che per primi i cugini d’oltralpe hanno abbandonato), dominato da una confortevole luce soffusa e calda quanto il clima di quei luoghi, l’accompagnamento è quello della chitarra dolce che non ci lascerà sino all’ultimo fotogramma (cosa che ha non poco conciliato il sonno ai più impavidi presenti al Palais da questa mattina), ma la recitazione è totalmente assente.

Gli attori non guarderanno mai la camera, il regista non zoomerà mai sui volti del proprio cast e il motivo sarà ben chiaro nell’unica scena di pseudo terrore in cui non sapevamo se volesse suscitare una fragorosa risata o un pianto a dirotto per lo sconforto. Il trio (perchè poi di quello si tratta) interagisce a fatica, parla di spiriti, della propria morte ed altre cosucce senza troppo senso e il tutto viene intervallato da lunghe (interminabili) inquadrature sul Mekong, ottima occasione per controllare la mail.

Insomma ma a cosa abbiamo assistito? Era un documentario, una denuncia, una opera poetica oppure siamo culturalmente troppo distanti per apprezzare il messaggio? A me è parsa una pellicola senza capo ne coda, di autore con una gran voglia di avventurarsi in un territorio ancora troppo impervio per le sue deboli ossa, per lo meno al momento.

Nella sinossi non ci addentriamo perchè l’interpretazione è davvero faticosa e noi abbiamo altre pellicole da affrontare prima che la giornata si concluda, crediamo però che oltre ai festival di settore molto difficilmente questo film verrà mostrato al grande pubblico, il quale potrà comunque contare su un’offerta che in questa fine stagione è davvero variopinta e non necessita di venire ulteriormente arricchita :)