Concretezza e passione sono le parole che meglio descrivono quest’opera liberamente tratta dal romanzo “Vite che non sono la mia” (di Emanuel Carrère) che ha ispirato il nuovo film di Philippe Lioret, pellicola nata proprio grazie all’amicizia ed alla fiducia che legano l’autore al regista. Una storia autobiografica toccante ma non strappalacrime su una scelta che condiziona la vita motivandola come non mai.

Un uomo e una donna, due giudici, lei giovane lui un po’ meno, due generazioni a confronto che uniscono le forze per fare la differenza. Lei perché crede ancora in una professione che possa cambiare le regole rendendo il mondo migliore, lui inizialmente travolto dal di lei entusiasmo poi dalla necessità di dare un senso alla lotta per una causa, ad una esistenza, al tempo sottratto agli affetti, e per culturalizzare il proprio passato.

 

Un film sui sentimenti, sulla dignità e sulla giustizia, così come sul rispetto di scelte che si possono non comprendere (o condividere) ma egualmente accettare. Opera in cui domina il senso di protezione: tutti si ritrovano a proteggere coloro che hanno intorno, il cancelliere suggerirà al proprio giudice come difendersi, il collega farà da mentore e guida dentro e fuori il palazzo di giustizia, e la madre proteggerà i sui piccoli.

Impossibile che non emergano le classiche domande su dove si trovino i confini del senso del dovere e della complicità tra colleghi. Il film pare sposare la tesi secondo cui quest’ultimo sia una forma di amore, che spesso non sfocia in un rapporto di coppia, anzi, si nutre della solidità familiare. Il regista infatti sviluppa con minuzia l’attrazione (professionale) che sorge tra i protagonisti, la nascita della loro alleanza, la conoscenza e il supporto umano che s’instaura tra i due, uniti da un presente unico ed irripetibile.

 

Tutto inizierà il giorno in cui due mamme, Céline e Claire, si troveranno vis à vis a scuola e poco dopo in tribunale, una come imputata e l’altra in qualità di organo giudicante. Céline sfiora la soglia di povertà in seguito ai debiti contratti con varie società di credito, che a fronte del prestito di un’esigua somma di denaro pretendono tassi d’interesse esorbitanti rendendo il debito inestinguibile, e ciò riapre i cassetti della memoria di Claire. La lotta che quest’ultima dovrà affrontare sarà quindi su due fronti: quello personale e lavorativo, dove uno supporterà l’altro andando contro il sistema ed il tempo. Ma non sarà sola.

Perché questa è anche la storia di Stéphane, un collega, un compagno di avventura, un affettuoso e prezioso alleato. Grazie a Claire l’uomo disincantato all’improvviso ritrova la vita e diviene la migliore spalla su cui contare per mantenere la propria integrità e provare a cambiare il futuro degli altri, dimostrando a se stessi di aver preso la scelta giusta.

 

Un film dedicato alle emozioni in cui il problema sociale (del credito al consumo) e la malattia riescono a convivere nonostante quest’ultima s’imponga man mano che i minuti scorrono, cosa che pure il regista deve aver notato dato il tentativo a cui assistiamo nelle ultime battute di evitare quel melodramma che avrebbe vanificato il suo ambizioso progetto di sviluppare una narrazione sulla giustizia e l’amore nelle sue varie sfaccettature.

Definita una pellicola coraggiosa, non so se lo sia, son invece certa di essere di fronte ad un film c.d. drammatico diverso dal solito.