La Regina di Pomerania e altre storie di Vigata di Andrea Camilleri

Ci sono personaggi letterari che finiscono per essere più reali di bipedi che incroci quotidianamente, e ci sono luoghi immaginari di cui impari atmosfere e geografie senza averci vissuto un giorno: è il caso di Vigata, paesino siculo di camilleriana invenzione che, oltre ad essere stato teatro delle avventure giovanili e non del Commissario Montalbano, ci ha già regalato scorci di storia del nostro paese in “Circo Taddei”.

Ebbene, il luogo principe della letteratura meridionale del dopoguerra ritorna, e ritorna ai suoi massimi splendori, con “La regina di Pomerania e altre storie di Vigata”, raccolta di otto racconti ricche di profumi, colpi di scena, fotografie della provincia che fu e probabilmente non ci sarà più. Ambientandole in un contesto temporale che va dalla fine dell’Ottocento agli anni Cinquanta, Camilleri dipinge con la maestria che sembrava smarrita ne “Il diavolo, certamente” una serie di affreschi siciliani affascinanti, popolati da personaggi dettagliati a partire da una singola caratteristica: l’imbroglione è così davvero imbroglione, ne assume le vesti e – in alcuni casi – persino lombrosianamente le fattezze, e così pure il geloso, il bello del paese, la ragazza promessa sposa.

Le trame delle otto novelle, ognuna delle quali avrebbe potuto probabilmente dare vita ad un romanzo, catturano e sorprendono, ad eccezione forse di quella che regala il titolo alla raccolta e che ho trovato leggermente più debole. Tra gelatai accecati dall’orgoglio in una forsennata – ma leale – corsa al predominio culinario delle spiagge, un asino dal nome problematico (un ciuco battezzato Mussolini in piena era fascista) e dalle capacità quasi divinatorie ed una bella storia di lettere anonime e di amore la lettura scorre come un fiume gonfiato dalle piogge, e le lancette dell’orologio sembrano prendere vita propria. Citazione a parte merita un racconto di povertà e umiltà, “Le scarpe nuove”: è una lettura che fa pensare ad una pura narrazione da tradizione orale, fuoco sulla spiaggia, cerchio di amici ed una voce a narrare qualcosa che può assomigliare ad una leggenda urbana. Eppure, nel suo sorprendente e commuovente finale, colpisce al cuore.

Avvertenze per l’uso: molto più che nei romanzi di Camilleri, domina la lingua siciliana. Con me ha l’effetto di un diesel, inizio a leggere con fatica e lentezza esasperante e poi ingrano senza alcun problema, perdendomi in sonorità e lemmi piuttosto distanti da quelle tipiche di un triestino trapiantato a Milano. Ma mi son liberato di un potenziale senso di colpa, e vi ho avvertiti!

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