LES PETITS MOUCHOIRS – PICCOLE BUGIE TRA AMICI

Un gruppo di amici, uomini e donne nel pieno dei loro trent’anni, con ancora tanta energia in corpo e una gran voglia di giocare, divertirsi e fare nuove e folli esperienze. In tutto e per tutto adulti, e coscienti di esserlo, con una più o meno accentuata sindrome di Peter Pan e/o corredati di una collezione di quotidiane manie gestibili sino a quando non si viene sradicati dal proprio habitat, per esempio in occasione di una vacanza. Tutti diversi ma egualmente insicuri, delineano una generazione incline a perdere la bussola o a dimenticarla sul comodino alla mattina.

Decisamente questo film è per noi nati negli anni ’70: ci riconosciamo subito, in pochi fotogrammi riusciamo ad individuare il nostro “tipo” e l’immedesimazione è presto fatta. Siamo quelli a cui è stato detto che alla nostra attuale età avremmo avuto solidità economica, affettiva e lavorativa. Una grande illusione valida per i genitori ma che si è rivelata una grossa bugia per noi figli. Oggi, infatti, il risultato è che a mala pena abbiamo un’identità sessuale, ci è decisamente oscuro il concetto di avere al nostro fianco un compagno per la vita, alcuni di noi non hanno senso di responsabilità (men che meno posso prendersi cura di una piccola creatura che dipenda in tutto dagli adulti) e molti non son ancora certi di cosa vogliano fare da grandi. Se poi ci si mette di mezzo qualche imprevisto, allora il delirio sarà totale.

 

È il caso del gruppo di amici per la pelle descritto dall’attore Guillaume Canet che, per la sua terza volta dietro alla macchina da presa, riesce a creare una realistica riproduzione dei miei/nostri simili che sia fastidiosa quanto basta per immedesimarci e confortevole al punto di riuscire a “sculacciarci” a più riprese con volontà di farci desistere dal convivere con tutte le piccole ed inutili bugie con le quali razionalizziamo le nostre, talvolta sciocche, quotidiane scelte.

Il pretesto è il drammatico incidente di Ludo (interpretato dal neo premio Oscar Jean Dujardin) che sconvolge l’equilibrio festaiolo (ed irresponsabile) dei “ragazzi” i quali, impotenti ed incapaci di rapportarsi alla tragedia, si convincono della propria inutilità (dopo un delirante quanto, per molti, familiare scambio di opinioni nel cortile della clinica), quindi lasciano come preventivato la città alla volta dell’oceano per la sospirata vacanza, “intanto siamo solo ad un’ora di aereo dalla città”…

 

Una volta però che l’emergenza sarà alle spalle, riaffioreranno tutti i limiti e le loro brutte qualità, in primis uno smisurato egoismo che potrà essere foriero solo di distruzione. Il regista pare essere convinto che la redenzione dei nostri recidivi personaggi sia possibile, oltre che auspicabile, ma forse è solo una speranza e su questo punto avremmo preferito una pellicola (oltre che un poco più breve) più cinica e realistica. Il timore è infatti che Canet abbia indugiato nel guardare sino in fondo in quello specchio che ha posto davanti a sé e agli incredibili (e credibilissimi) attori, che hanno impersonato le comuni follie della nostra generazione. La pellicola chiude con una speranza che però potrebbe essere solo l’ennesima illusione: riusciremo mai ad imparare la lezione e crescere?

Di nuovo una gran bella pellicola prodotta dai cugini d’oltralpe, non perfetta, ma di una tale qualità (in regia e nella scelta di una delle migliori colonne sonore sentite da tempo!) da perdonarle qualche eccessivo colpo di coda strappalacrime a soli pochi passo dal traguardo.

Leave a Comment