Sistematicamente, e con cadenza temporale quasi definita, compaiono online o in libreria selezioni di titoli che vorrebbero guidare alla scoperta dei migliori testi della storia: si va da “1001 libri da leggere” alle più recenti classifiche del Times o della BBC. In un buon numero di queste, ho incrociato “Revolutionary Road” di Richard Yates, che ricordavo di aver tirato su in libreria un paio di volte senza poi affrontarlo. Era giunto il momento.
Con il senno di poi, son costretto a ringraziare chi si è preso la briga di provare a compilare quegli elenchi, sottoponendosi tra l’altro ad una serie quasi infinita di critiche per la mancanza di un autore o di un titolo in particolare. Perplessità che avevano colpito anche me ma che ho fatto passare in secondo piano, perché la sola scoperta di Yates le ha ampiamente compensate. Edito nel 1961 (e tradotto in Italia nel 1964 con il pessimo titolo di “I non conformisti”) “Revolutionary Road” ebbe un notevolissimo successo di critica e una accoglienza piuttosto fredda da parte del pubblico lettore. Francamente, non è impossibile capirne il motivo: il romanzo racconta di una coppia tipicamente americana, tipicamente middle class e tipicamente ancorata ad una ipotetica ed ipocrita idea di apparente felicità. Frank e April Wheeler coltivano una sorta di anticonformismo assolutamente di facciata e mettono ferocemente in luce tutte le debolezze di una struttura sociale che si stava sfaldando, inevitabilmente avversa e probabilmente quasi spaventosa per chi era appena uscito dagli Anni Cinquanta, teatro temporale del romanzo.
La forza che ho colto in “Revolutionary Road” risiede proprio nell’affrontare una storia assolutamente normale, e come tale immediatamente riportabile al quotidiano. Un giorno-dopo-giorno che nasconde i suoi cocci sotto un enorme tappeto scricchiolante, un filo sottile teso fra il “cosa diranno di noi” e la voglia o l’esigenza di cambiare tutto che anticipa, raccogliendoli efficacemente, temi e istanze che si concretizzeranno soltanto qualche anno dopo. Uno Yates preveggente, dunque, o più semplicemente un fine e attento osservatore della società.
Un altro motivo per non mancare questa lettura? Ve ne offro ancora qualcuno: c’è un gran profumo di Carver – e chi lo ama capirà che cosa intendo dopo poche pagine – e un personaggio minore ma assolutamente straordinario. Nelle parole e nei gesti di John, figlio di una coppia di vicini con seri problemi psichici, c’è tutta la comprensione delle follie umane in un solo sguardo, e si annida l’annosa e mai soddisfacentemente risolta domanda “E sei i pazzi fossimo noi supposti normali?”
La citazione (raggelante):
“Il complesso residenziale di Revolutionary Hill non era stato progettato in funzione di una tragedia”
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Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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