24 marzo, Camera del Lavoro di Milano, come ogni sabato concerto dell’Associazione Secondo Maggio: questa volta è il turno del 4TUNE QUARTET del trombettista Alberto Mandarini, con Mauro Grossi al pianoforte, Stefano Dall’Ora al contrabbasso e Marco Castiglioni alla batteria. Due bei brani di Chet Baker hanno chiuso il concerto: Seven Apples e come bis West Coast. Non li avete mai sentiti? Non allarmatevi, non è un clamoroso buco nella vostra discoteca personale. Come si diceva nei feuilleton dell’800, facciamo un passo indietro.
1960: il 32enne Chet Baker suona in Italia già da diversi anni; è tossicodipendente, ha appena passato alcuni mesi in una clinica milanese e poi a Lucca per disintossicarsi, ma c’è ricascato. In agosto viene arrestato a Viareggio e poi condannato per detenzione e uso di stupefacenti: passerà in carcere 16 mesi, prima a Lucca, poi a Roma, fino al dicembre ’61. Su quel periodo circolano parecchie leggende metropolitane, ad esempio si mormora che in prigione avesse accesso ad una tromba, e che di tanto in tanto gli abitanti del quartiere lo sentissero suonare. Leggende, appunto.
2006: Mauro Grossi (1959) è docente di piano jazz al Conservatorio di Livorno; un giorno gli viene recapitato un pacco di spartiti manoscritti: alcuni sono completi, altri solo abbozzi, senza indicazione di ritmo e tonalità, tutti sono sporchi, disordinati, “decorati” da cerchi di bicchieri di vino, alcuni a malapena leggibili, ma firmati, inequivocabilmente, da Chet Baker. Grossi ne ricostruisce il fortunoso tragitto: al momento del trasferimento dal carcere di Lucca a quello di Roma Baker li ha consegnati al compagno di cella, il quale non sa leggere la musica e li passa ad un secondino, che ha un parente musicista dilettante. Questi non gli dà peso e li ficca in un baule in soffitta dove, oltre 50 anni dopo, vengono fortunosamente ritrovati durante dei lavori di ristrutturazione, e finalmente affidati alle premurose mani di chi saprà prendersene cura.
I fogli vengono esaminati, controllati, periziati da musicisti, specialisti e critici, e non ci sono dubbi su attribuzione e autenticità. Paolo Fresu, trombettista di fama internazionale e già esecutore di tutto il vastissimo repertorio bakeriano, si dice entusiasta dell’idea di dare finalmente vita a quelle note dimenticate; vengono preparati bellissimi arrangiamenti per quintetto jazz e orchestra d’archi, nel 2009 finalmente vengono fissati i primi due concerti (a Piacenza, sold-out con due mesi d’anticipo) per presentare e festeggiare questo ritrovamento miracoloso, ma….
Purtroppo gli entusiasti ed appassionati musicisti hanno fatto i conti senza l’oste, ovverosia gli eredi di Chet Baker, che piombano armati di agguerritissimi avvocati sul povero Grossi e bloccano tutta l’operazione: quello che era un omaggio affettuoso alla musica di uno dei più importanti ed amati trombettisti jazz si è incagliato nelle strettoie delle leggi sui diritti d’autore. Si è sempre sentito parlare malissimo delle vedove dei pittori, ma anche gli eredi dei musicisti non sembrano essere da meno; ora è tutto in mano agli studi legali, una sempre più corposa corrispondenza rimbalza ormai da anni fra Livorno e Londra.
Per adesso dobbiamo accontentarci di ascoltare qualche frammento, fortunosamente memorizzato durante le lunghe e laboriose trascrizioni degli originali, caparbiamente e amorosamente eseguito da Mauro Grossi in tutti i suoi concerti.
Con un po’ di rimpianto da parte mia, ogni volta che, per l’ennesima volta, mi addormenterò ascoltando My Funny Valentine.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.
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