I sei personaggi di pirandelliana memoria sono divenuti otto, si trovano a Roma in un magnifico appartamento che si è trasformato nel loro nuovo palcoscenico e fanno compagnia ad un confuso e solo aspirante attore, la cui unica cosa sicura sono i cornetti che inforna tutte le notti. Loro sono belli, appartengono ad un’altra epoca e soprattutto erano veri ed affermati attori che oggi si nutrono della solitudine di Pietro, il protagonista, per risolvere i propri bisogni. Da questo sodalizio tutti i personaggi caleranno infine il sipario sulla loro non-vita e sbocceranno come i fiori in questi giorni.

Con la delicatezza che lo contraddistingue, senza rinunciare o celare i molti (per alcuni anche troppi) rimandi ed omaggi al teatro ed ai temi da sempre a lui cari, il regista osa evolversi ed incamminarsi sul sentiero del cinema di livello sempre più alto, senza però rinunciare al raccontare la gente, facendo attenzione di non annoiare il suo pubblico con inutili silenzi e sospiri (al contrario ci offre in più occasioni scambi serrati conditi di sarcastiche battute, talvolta culturalmente elevate) e ci abbraccia con la dorata fotografia che oramai è divenuta sua imprescindibile caratteristica.

 

Siamo a Roma, appunto, ai giorni nostri, in un quartiere che profuma di inzio ‘900, e seguiamo le vicissitudini di un Elio Germano che con Pietro interpreta un attore di provincia, alla ricerca di notorietà nella città eterna, che di fatto è un delicato e sensibile animo incline a lasciare a briglia sciolta la fantasia, un giovane debole e confuso emotivamente, ma molto determinato ad inseguire i suoi sogni grazie alla compagnia ed al supporto della eccentrica cugina. Il giorno in cui riesce a trasferirsi in una fatiscente ma potenzialmente fascinosa abitazione, vecchia ma sistemabile e corredata di “occupanti” molto particolari, la sua vita prenderà una piega inaspettata, anzi, inizierà a prendere forma.

Un gruppo di persone che negano a sé stesse la propria morte, intrappolate quasi per scelta dentro la casa che le portò alla prematura fine della loro carriera e vita, sono l’incarnazione della più diffusa debolezza umana: nonostante abbiano coscienza del problema, scelgono scientemente ed incoscientemente di non risolvere la situazione così da andare avanti, perché troppo abituati allo status quo nonché perché più semplice convivere con una brutta routine che fare un salto nel buio armati della sola speranza che possa andare meglio.

 

Problema comune anche al nostro Pietro che tra una intelligente e talvolta travolgente battuta e l’altra, soprattutto quando in compagnia della validissima e spassosa spalla, non affronta i suoi fantasmi. O meglio saranno proprio quegli spettri tanto “reali” e di molta compagnia, coi quali condivide il focolare domestico, a far da specchio alla sua anima e ad infondergli il coraggio e la forza che sino ad allora gli erano mancati ed infine avverrà la tanto agognata svolta.

Favola moderna ed al contempo retrò, gentile, intensa e strutturata, anche se imperfetta in quello che una volta chiamavamo il secondo tempo. Nessun drammone o pippone esistenzialista, questa è e rimane una commedia non sguaiata ed intelligente di uno dei migliori registi italiani (seppur di adozione) in circolazione che avrebbe potuto sedersi sugli allori dei successi, di pubblico e di critica già ottenuti, ma che invece ha deciso di fare il tanto temuto salto nel vuoto e… ora deve sorbirsi anche le piccole invidie di alcuni – c’est la vie!

Magnifica Presenza di Ferzan Ozpetek Trailer