Cara Ipazia,

 tu si che eri avanti! Duemila anni dopo le mie coetanee sono ancora qui a fare le suffragette ed a rivendicare cose che tu facevi quotidianamente. Matematica, astronoma e filosofa, simbolo della libertà di pensiero, allieva di tuo padre prima, insegnante e mentore per i tuoi allievi dopo. Ahinoi, un manipolo di ottusi e scaltri che per i propri loschi affari (di stato) hanno spazzato via la cultura, l’unica vera arma, forse, in grado di far vacillare il loro regno, ti han resa martire. Gli stessi Signori che hanno con tanta leggerezza cancellato per sempre la biblioteca di Alessandria, destinando ad eterno oblio molti illuminati tuoi predecessori. Che delitto! E noi, sappiamo di te grazie al passaparola (da non credere…), chissà nel tempo quanto di mitologico si sia fuso coi fatti, ma oramai ogni eventuale menzogna è divenuta inevitabilmente parte di quella realtà alla quale ci aggrappiamo sognando di essere al tuo fianco in una società perfetta.

Come ogni anno arriva l’8 marzo, festività in cui una parte di noi celebra l’orgoglio di essere donna (evidentemente siamo divenute una minoranza in via d’estinzione), che per convenzione (decisa da non so chi) segna la ricorrenza della tua lapidazione, ed il gioco è fatto. Ci troviamo in un teatro a seguire una pièce a te dedicata. Non possiamo negare quindi  che un poco di scetticismo ci abbia accompagnato sino alla poltrona, fermo restando che sia sicuramente più dignitoso e rispettoso nei confronti del gentile sesso proporre una abbondante ora a teatro piuttosto che imporre l’ennesimo spettacolo ad uso e consumo di repressi istinti, facendo la ricchezza di qualche proprietario di (pseudo) strip club tirato a lucido per l’occasione.

La passione per la fantascienza mi accompagna oramai da abbastanza primavere da concedere ad una sinossi solo di stupirmi ma non turbarmi, anche quando ha un simile incipit: “Anno 2415, una grande biblioteca (…)” – che dovrebbe essere quella di Alessandria, appunto, e poi prosegue introducendo la protagonista. E la nostra serata di questo 8 marzo dell’anno dell’apocalisse Maya sarà davvero all’insegna dell’avventura e delle sorprese :)

Ipazia

foto Irene Magherini

L’Ipazia  che si presenta a noi ha il volto di Maria Eugenia D’Aquino, è nel suo ambiente naturale, in un tempo sospeso, e si racconta, ci narra una storia, la storia che non c’è più. Di come sia morta ma “viva” e di come tutti quei rotoli di carte provenienti dalla biblioteca più grande del mondo, quella della sua Alessandria, che in teoria venne distrutta, la circondino.

La narrazione è rapida e, senza preamboli, mira diretta al cuore: viviamo l’avvicinamento  di Ipazia alla scienza e la nascita di una passione quasi ossessione, assistiamo impotenti alla spavalda sfida delle autorità a difesa di idee e principi e, appunto, incontriamo le figure chiave della sua vita che sfilano davanti a noi in un inaspettato one woman show. L’attrice con trasporto instaura un dialogo con gli altri protagonisti, cambiando ruolo e abito più e più volte senza mai lasciarci neppure per un istante, ed è così appassionata e appassionante da riuscire a farci dimenticare che l’interprete di tutti quegli uomini (l’unica donna sarà infatti la sua Ipazia) sia sempre lei.

Di nuovo il Teatro Oscar ha osato ed ha immancabilmente vinto. Questa volta il rischio era più alto del solito, una collaborazione esterna, una compagnia che avrebbe potuto non trovare sintonia con l’affezionato pubblico di via Lattanzio. Ma forse, una lunghezza non straziante, una sobria ed intensa recitazione, e l’anomalia  della pièce hanno contribuito alla riuscita dell’ensemble. Bravo!

 

IPAZIA. LA NOTA PIÙ ALTA -­ Frammenti

Ideazione Maria Eugenia D’Aquino
Regia Valentina Colorni
Drammaturgia Tommaso Urselli
Con Maria Eugenia D’Aquino

Dall’8 al 17 marzo 2012 al Teatro Oscar, Via Lattanzio 58, 20137 Milano
Info: 02 36503740 |sito web: www.pacta.org