Berlinale Palast, ore 12:00 e una calca da stadio pur di vedere in anteprima il nuovo film scritto, diretto ed interpretato da Billy Bob Thornton. Aspettativa altissima, prima opera convincente vista a Berlino tra quelle in concorso, quindi ammetto mi spiaccia un po’ che non abbia ricevuto alcun riconoscimento al di là di una caldissima (a dispetto del clima) accoglienza che speriamo si riproponga nelle sale cinematografiche.
Siamo in America, in uno dei caldi ed assolati stati del sud, dove la famiglia patriarcale si sente ancor più rispetto ad altri luoghi di quell’immenso paese che sono gli Stati Uniti, soprattutto se la nostra storia si svolge alla fine degli anni ’60. Tre generazioni a confronto, tutte segnate da diversi conflitti. Tre uomini che hanno fatto il loro dovere e che, nonostante siano rincasati da eroi, ritornano in breve tempo ad essere semplici uomini con i loro limiti, difetti e debolezze.
La famiglia Caldwell subirà un grande scossone quando scoprirà come la madre, che se l’era data a gambe molto tempo prima, sia passata a miglior vita e voglia venire sepolta a casa. Pare poco le importasse che per assecondare questa ultima volontà, la sua nuova famiglia debba contattare i parenti americani per organizzare una inevitabile e non voluta family reunion. Così, in una fattoria, due anziani (gli strepitosi Robert Duvall e John Hurt) e relativa progenie si troveranno a dover seppellire rancori in nome dell’affetto che li legava alla defunta. E i figli? Generazioni e culture a confronto in un’epoca non semplice di suo, non solo per la polveriera Vietnam, ma pure per le differenze culturali e di ideali e per i rispettivi fallimenti che li accompagnano. Tutti seguiranno i propri istinti e molte saranno le sorprese.
Nel silenzioso equilibrio del trio si insinua l’obbligato confronto con i propri omologhi arrivati dall’Inghilterra: tutti a loro modo si sentono a disagio e subiscono i propri presunti fallimenti, anche se il vero evidentissimo problema sia aver perpetrato una totale assenza di comunicazione. Sarà stata la cultura di quei tempi o solo la sfortuna, sta di fatto che due famiglie con molte similitudini son finite sotto lo stesso tetto per un lungo fine settimana. E proprio quelle guerre che han fatto credere loro di essere persone speciali, hanno portato il disagio e l’immobilismo all’interno delle mura domestiche e solo con l’incontro/scontro/confronto forzato, anzi provocato dalla madre prima in fuga poi defunta, vi sarà la svolta, la tanto agognata comunicazione e comprensione delle necessità (soprattutto emotive) degli altri componenti della famiglia.
I personaggi sono tanto complessi quanto accompagnati da uno strepitoso sarcasmo e nel suo insieme il film è drammatico, carico di speranze, affetto e rispetto, soprattutto perché il regista non fa mistero di aver preso spunto dal complicato rapporto avuto con il proprio padre. L’immedesimazione nei personaggi, nonostante siano tutti molto americani, è infatti semplice anche per noi nati da questo lato dell’oceano. La storia è universale: ottenere il consenso dei nostri punti di riferimento è essenziale per la nostra indipendenza ovunque siam nati.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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