A volte, lo sappiamo, le quarte di copertina ingannano orribilmente: siamo stati tutti vittime, prima o poi, di una sinossi ben costruita, di qualche frase intrigante, di una indicazione che si e’ rivelata più mendace di una moneta da tre euro. Rileggo quella de “La biblioteca di Luca” (probabilmente la peggiore lettura negli ultimi anni) e mi colpisco ripetutamente la nuca: comprendo bene che non ci si potesse attendere una indicazione tipo “Ottimo per accendere un falò sulla spiaggia”, ma, insomma – mi son lasciato fregare come un bambino desideroso di una caramella gommosa.

Di tanto in tanto, però, gli editori ci azzeccano. E partoriscono quarte di copertina felicemente aggrovigliate alla trama del romanzo, piccoli specchi di quel che ci accadrà nel corso della lettura, ricche intuizioni con qualche riferimento letterario (ma ho imparato a diffidare decisamente dalle indicazioni tipo “Il nuovo Montalban” o “L’autore che vi fara’ dimenticare xyz” <– aggiungere un grande a vs. piacimento).

In qualche caso, infine, la quarta di copertina fa pensare, una volta terminata la lettura. Oggi ho ripreso in mano “Incubo a seimila metri”, di Richard Matheson, e mi sono accorto di quanto campeggiava – appunto – nella quarta:

“Richard Matheson e’ uno dei maestri indiscussi del genere” – la Repubblica

Ecco, questo mi ha fatto pensare. La tentazione di telefonare alla redazione del quotidiano e’ stata fortissima: la domanda che avrei voluto porre – una volta raggiunto il redattore giusto – sarebbe stata: “Ma esattamente, a quale genere ti riferivi?”

Ho trovato questa raccolta di racconti di Matheson assolutamente splendida, e proprio per questa caratteristica: in queste godibilissime quasi-300-pagine, l’autore ci accompagna in temi, situazioni, emozioni e sensazioni che virano dal giallo quasi classico al noir piu’ estremo, scatenando delle vere e proprie trappole emotive. Riducendolo all’osso e senza fargli granché onore, Matheson viene spesso descritto come un maestro del “genere horror”. Una definizione che, se non accompagnata da qualche frase esplicativa, rischia di essere immensamente riduttiva.

L’orrore in cui ci accompagna Matheson e’ estremamente variegato, ma è un vero e proprio “orrore dell’anima”: leggi, e ti rendi conto che il tuo respiro si sta modificando, che ti stringi un po’ sotto le coperte, e che ti stai facendo condurre per mano in mezzo a labirinti e vicoli bui, fino al sospiro finale dell’ultima riga. E cominci ad adorare questa sensazione, a ricercarla continuamente, quando ti rendi conto che – chiusa l’ultima pagina – sei come uscito da una apnea tesa e galvanizzante. All’ultimo respiro.