Recensione romanzo Coscine di pollo di Tom Robbins

Poi dici “ a cosa servono i social network”. A rimanere agganciati ad amici lontani, nel caso di Facebook. A seguire con divertimento i commenti su X Factor, se tieni aperto Twitter. E a scoprire un gran bel romanzo grazie ad una vicina dal nick orientaleggiante, se hai la fortuna di dedicare del tempo ad Anobii.

Perchè alle volte hai bisogno di una spinta. La vastità di scelta quando passeggi in una libreria (e che piacere sia è davvero difficile da spiegare) può spaventare, e la selezione del volume che ti trascinerai fino alla cassa spesso dipende da diversi fattori: c’è la sera in cui punti sul tradizionale perchè nulla ti ha colpito esageratamente e di un vecchio volpone-scrittore ti puoi sempre fidare, e c’è la mattina in cui ti prendi il rischio di provare qualcosa di assolutamente nuovo, ammaliato da una trama o da una copertina. In mezzo hai una serie di volumi che hai afferrato più volte e da cui non ti sei mai lasciato convincere del tutto.

Ecco, per me “Coscine di pollo” era esattamente così, qualcosa di simile a quelle facce incrociate ogni giorno in metrò di cui non sai molto, ma che riconosci immediatamente come già viste. Poi è arrivata la spinta anobiiana, e mi ci sono finalmente immerso.

Una vera e sensazionale scoperta, a partire da uno stile di scrittura che cattura inesorabilmente fin dal primo momento e che risulta davvero difficile da descrivere: prendete un pizzico della magia che percorre le narrazioni di Benni, sommateci il gusto per il gioco di parole di Pinketts e mescolate con il gusto per la battuta di Bill Bryson e otterrete qualcosa che vi si avvicina lievemente. Il risultato è una gustosissima picchiata verso il luogo comune che  … zac … un istante prima di schiantarsi riprende quota e si indirizza verso nuove vette di curiosità ed ironia.

Sarebbe però un errore lasciarsi ammaliare dalla sola verve umoristica o dalla scelta lemmatica e lessicale: la storia della coppia-scoppiata Ellen/Boomer e dei cinque oggetti solo apparentemente inanimati risvegliati da un focoso amplesso in una grotta offre all’autore il destro per una serie di riflessioni e racconti che investono temi capaci di spaziare dallo storia alla religione, dalla politica alla pura psicologia. Un alternarsi di registri, sensazioni, toni differenti che hanno portato alcuni critici ad attribuire la patente di “romanzo politico” a questo testo. A me è sembrato più simile ad un meraviglioso viaggio – metafora che non a caso percorre tutto il testo – nella storia dell’Uomo in tutte le sue dinamiche e sfaccettature, siano esse assolutamente personali od applicabili alla massa e quindi alla società.  E come chiusura, quindi, mi sembrano perfette queste parole tratte da una intervista a Tom Robbins, scrittore di razza che tornerò senza alcun dubbio a frequentare:

In una recensione del New York Times un critico affermava: ‘Tom Robbins dovrebbe capire se vuol essere serio o vuol essere divertente. Perché non si decide?’ A questo io rispondo che lo deciderò quando Dio lo deciderà, perché la realtà stessa ha una parte comica e una parte tragica. Quindi di fatto non posso essere io a deciderlo.

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