Midnight in Paris: sogno o realtà?

Un uomo visita con la fidanzata (ed i suoceri) la Ville Lumière, famosa per le sue “luci” e per essere uno dei luoghi da sempre prediletto dagli innamorati. In questo caso, però, il protagonista viene totalmente rapito dalla città, dalle sue vie, dal suo glorioso passato e dal proprio immaginario al punto da lasciare la futura consorte all’esterno, sola e sempre più lontana. Un artificio che farà emergere la realtà e la renderà così visibile da non poter che imporre una rapida ed efficace azione: il voltare pagina.

Midnight in Paris è un’opera delicata, magica, equilibrata, ironica, sagace, che mostra quanto ancora abbia da raccontare il cineasta americano più amato nel vecchio continente, nonostante i suoi settant’anni. Suggerisco di non credere ad eventuali stroncature senza aver prima toccato con mano il prodotto. Coloro che partiranno alla carica, temo lo facciano solo per stizza, una presa di coscienza che ciò che per alcuni è davvero semplice (unire fantasia, intelligenza e leggerezza) a loro risulti impossibile.

 

Come da abitudine, Woody Allen ci propone un film di media durata, che quindi non stanca, con una meravigliosa fotografia dai caldissimi toni dorati che esalta l’atmosfera suggestiva ed asseconda uno dei colori che contraddistingue Parigi, e ci accompagna nella città emblema della grandeur francese, degli sfarzi e del fermento culturale. Faremo un viaggio nel tempo, ripercorrendo l’ultimo secolo grazie alla fervida immaginazione di Gil (Owen Wilson), aspirante scrittore impegnato e stimato sceneggiatore hollywoodiano, approdato in città al seguito dei suoceri, che pur di evadere dalla opprimente, classista ed ottusa compagnia, trascorre le nottate passeggiando per vicoli carichi di storia. E quando proprio non ne può più si rifugia addirittura nel passato, rivivendo nel mondo che fu.

Onirico viaggio che travolge lo spettatore ed offre il pretesto al regista per una narrazione sulle note di quel jazz a lui tanto caro, che dimostra come ci si possa divertire anche con intime gite nell’inconscio di un uomo confuso. Conosceremo scrittori, pittori e musicisti (Hemingway, Picasso e Cole Porter per citarne alcuni), apprezzeremo coloro che hanno prestato il volto ed increduli noteremo il numero sopra la media di noti attori presenti sul set. Beninteso, non siamo di fronte ad un trattato di storia o ad un ripetere la lezione per dimostrare di aver studiato, troppo saggio il signor Allen per tutto ciò. Credo piuttosto sia un abile escamotage per non dover chiedere il supporto alla fantascienza per cambiare epoca, cosa necessaria quando ci si rifugia in un tempo che non esiste al fine di sfuggire e non affrontare il presente ogniqualvolta non sia come l’avremmo voluto.

 

Timore per il confronto, paura di fallire, poca autostima e una fervida immaginazione saranno alcuni dei temi portanti di una pellicola in cui la bellezza di Marion Cotillard ci rammenta una epoque oramai lontana, l’esuberanza di Kathy Bates è requisito imprescindibile di qualsiasi editore, e Owen Wilson ci ricorda, con tutte le sue insicurezze e manie, con sobrietà, chi manca da molto (e a molti) davanti alla macchina da presa: Woody Allen, il cui acuto spirito di osservazione si nota in primis proprio nell’accurata e mai casuale scelta del cast.

La sala era gremita sino alla seggiola più decentrata e da sicuro torcicollo, la partecipazione era massima, commenti e piccoli e soffocati applausi a più riprese hanno fatto da sottofondo, e la soddisfazione è stata molta nel notare che la gente apparisse appagata, a riprova del fatto che vi siano davvero tante persone pronte ad andare oltre i film c.d. da botteghino.

Adatto a chi adora gli stimoli culturali nelle loro molteplici forme. Inadatto ai monotematici amanti dei film “sparatutto”.

 

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