Recensione Tu sei il male di Roberto Costantini

Il romanzo di esordio di Roberto Costantini era davvero attesissimo: già nello scorso aprile, gli editori presenti alla Fiera del Libro di Londra si erano accapigliati per ottenere i diritti di traduzione di quello che veniva presentata come la voce nuova del thriller all’italiana.

Finalmente disponibile in libreria da settembre, “Tu sei il male” ha già scalato le classifiche, proponendosi nella sue terza edizione in meno di trenta giorni. Un successo spinto dal passaparola, da una adeguata campagna promozionale e – quando son belle è giusto rilevarlo – dalla splendida copertina di cui i tipi di Marsilio hanno dotato il volume.

Non posso nascondere, quindi, che riponevo grandi speranze in questo romanzo imponente, ed un tranquillo sabato mattina senza timori di elementi di distrazione mi era sembrato il contesto temporale più adatto. Ho piazzato pure la sveglia, pensa un po’.

Non voglio incasellare “Tu sei il male” nel novero delle delusioni assolute di questo 2011 da lettore: il protagonista, Michele Balistreri, è senza alcun dubbio un bel personaggio, complesso, persino disturbato, onesto nel riconoscimento dei suoi errori eppure disincantato, e tutto teso alla ricerca della Verità anche quando questa dovesse apparire scomoda per equilibri politici o per i suoi stessi ideali di giustizia. Ed anche la trama – che prende forma con un orribile omicidio commesso mentre si festeggiava il trionfo azzurro al Mundial spagnolo dell’82 e si completa mentre Grosso scaraventa in rete il rigore decisivo a Berlino, nel 2006, e gli assassinii seriali si moltiplicano – è intrigante e tutto sommato coerente con i principi cardine del thriller accattivante.

Il punto è che dopo un inizio perfettamente calibrato, caratterizzato da un ritmo coinvolgente che trascina il lettore, si ha quasi l’impressione di un brusco rallentamento: un po’ come se, affrontate le curve di Montecarlo con una fiammante Ferrari, ci si dovesse ritrovare a guidare una utilitaria nel traffico congestionato di una grigia metropoli, allungando continuamente lo sguardo al di là dell’incrocio con la speranza di un rettilineo vuoto e adatto ad una accelerazione selvaggia. Una corsa che riprende soltanto nelle ultime settanta pagine, fino ad un finale certamente non scontato ma in qualche misura privo di un vero colpo di coda.

Tutto ciò mi porta ad un paio di considerazioni: la prima è che  l’equazione “ottimo thriller = minimo 500 pagine” può essere serenamente accantonata, perchè ricordo r a c c o n t i – sì, avete letto bene, racconti – capaci di suscitare suspense e attese spasmodiche senza occupare il 25% dello spazio disponibile su uno scaffale di medie dimensioni.
Il secondo pensiero è che forse è ora di piantarla di andare a tutti i costi a caccia dell'”erede italiano di Stieg Larsson”: la scuola del giallo italico non ha nulla da invidiare ad alcuna altra, sia per tradizione che per l’emergere di voci intelligenti e originali. Attenderò con curiosità una nuova prova letteraria di Costantini, con la speranza di poterlo inserire in questa illustre compagnia.

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