Hellen Mirren è un’alchimista: ogni pellicola che tocca ne decreta il successo. Certo, “il Debito” ha goduto di un inizio di stagione fiacco con concorrenza davvero deboluccia e dall’anima ben poco poliziesca, però non c’è che dire, questo remake made in Britain del film israeliano “Ha- Hov” (il Debito, appunto) che Assaf Bernstein diresse appena un lustro fa, vale le sue due ore.
Tutto ruota attorno ad un triangolo, ad una pagina della storia nota, usata ed abusata quale l’Olocausto, e ad una menzogna che segnerà indelebilmente e visibilmente le vite dei protagonisti e non solo. Un intreccio ricco di suspense, a cavallo di 30 anni, che segue le scelte di tre ragazzi che, non reggendo i ritmi e le pretese della guerra fredda, combinano un tal casino sul campo le cui ripercussioni si riverbereranno sino al presente, quando le loro vite, corrose a vario titolo dalla menzogna, si sgretoleranno in vista della resa finale. Perché, si sa, nei film la verità presenta sempre il conto e pure piuttosto salato e siccome l’opera è un rifacimento per mano di grandi case di produzione, ovviamente assisteremo ad una gara ad immolarsi per la causa.
Ma qual è la vera causa, il motivo sottostante? Pare, più un affrontare se stessi o, peggio ancora, un alleggerirsi la coscienza, divenuta oramai un macigno, che un inseguimento senza tregua al criminale di turno.
Ed è così! John Madden, infatti, non dedica la pellicola alla caccia all’uomo o alla memoria dell’Olocausto, e ai suoi devastanti effetti sui sopravvissuti, ma si concentra sulle reazioni di tre persone. Rachel, David e Stefan, i nostri protagonisti, oramai non più giovani e segnati dal tempo, alla notizia che il carnefice nazista, il c.d. chirurgo di Birkenau, di cui avrebbero voluto non sentire più parlare, si è rifatto vivo per raccontare la sua versione di una pagina della storia che i tre a suo tempo avrebbero alterato, si troveranno a dover prendere una decisione non semplice: mettere ordine al caos, soprattutto a quello interiore.
Un’opera quindi in cui la tensione rende più sopportabile la sua profonda drammaticità. L’essere umano che si guarda allo specchio, che deve convivere con le conseguenze delle proprie scelte, impulsive e spesso errate, e che non riesce a sopportare il peso degli effetti che, senza sosta, un’unica azione continua a produrre. Un debito morale nei confronti di un popolo si trasforma, con lo scorrere della pellicola, in un debito nei confronti dei propri compagni di sventura e soprattutto con il proprio io.
Il punto forte del film è riuscire a essere pesante senza filosofeggiare, ci tiene incollati alla sedia grazie alla curiosità di scoprire come si snoderà un intreccio che non è tra i più intricati, pretesto ben congeniato per mostrare una fotografia impietosa dell’essere umano, di qualsiasi cultura e nazionalità sia. E in tutto questo lo sguardo penetrante di Hellen Mirren dice veramente tutto!
Da vedere e soprattutto da recuperare la versione originale, perché dopo Hashoter a noi il cinema israeliano piace :)
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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