Ci sono film d’azione e film d’azione. Ci sono quelli che ultimamente vanno per la maggiore, che si prefiggono di stimolare l’adrenalina nello spettatore attraverso le musiche e gli effetti speciali, ma che, salvo rari casi, non lasciano il segno, risultando zeppi di stereotipi, banalità e trame deboli, privi di sceneggiatura, nei quali la storia altro non è che un mezzo per mettere in scena gli effetti speciali e far recitare la stella di turno.
Poi ci sono altri casi in cui i registi riescono a creare qualcosa che lasci il segno. Ecco, Il duro del Road House è uno di questi. Una di quelle opere che può essere citata come emblema del genere. Perché? Perché troviamo nella pellicola una perfetta miscela di ingredienti.
Il cast, innanzitutto, non soltanto è un ottimo gruppo di attori, ma ognuno di essi è perfetto per la parte assegnatagli. A partire dal protagonista, il compianto Patrick Swayze e passando anche per l”ottimo Sam Elliott. Qui il duro è duro davvero, anzi i “duri” lo sono senza ombra di dubbio; hanno personalità, carattere… insomma, sono veramente ben caratterizzati, come del resto tutti i personaggi.
La trama non è banale, e le varie vicende si inseriscono molto bene, senza alcuna forzatura. Beh, che dire di più… questa pellicola di Rowdy Herrington merita d’esser vista (io l’ho fatto diverse volte!), ed offre scene davvero “cult”, alcune divertenti altre che lasciano il segno per la loro drammaticità.
Il punto forte direi essere proprio il fascino dei personaggi, Swayze ed Elliott (il primo Ghostrider, quello che andava a cavallo, se avete presente….), ma anche la bella dottoressa Kelly Lynch.
Un potenziale punto debole? Beh, la pellicola è datata e se la si guarda con gli occhi dell’era del “3d”, oltre a commettere un errore, si può rimanere delusi. Ma è ora che si inizi a recuperare il concetto di storia, recitazione, atmosfera, a ricordarne l’importanza e a capire che gli effetti speciali devono essere il complemento della storia, non il contrario. Non dimentichiamo che una volta il cinema era in bianco e nero, ma maestri come Hitchcock e Bergman (ma anche Kubrick con “Il Dottor Stranamore” e i tanti film di Chaplin, solo per citarne alcuni) sono comunque riusciti a lasciarci dei capolavori.
Mks77 amante dell’oratoria, gran osservatore, un po’ perfezionista, decisamente curioso. Senza indugio sottrae ore al riposo per cogliere/scoprire la poesia dei capolavori del passato, anche quando l’operazione è una vera “mission impossibile”. La sua migliore alleata è la sottile ironia con la quale è sempre disponibile al confronto cinematografico
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