Recensione La sfuriata di Bet di Christian Frascella

Ci sono periodi in cui infili una serie di romanzi quasi illeggibili uno dopo l’altro, e ti viene la tristezza. Ne ricordo distintamente uno che aveva preso il via con “I libri di Luca” di Mikkel Birkegaard (si, lo so, non so cosa avessi per la testa…), libro che conservo in versione brossurata e che di tanto in tanto riprendo in mano per assegnare il mio personalissimo “Premio Oscar per la quarta di copertina più ingannevole dell’ultimo quarto di secolo”.

Fortunatamente, capita anche di lanciarsi felicemente in una ricca successione di titoli assolutamente gradevoli, storie affascinanti, romanzi che riescono a lasciarti qualcosina dentro. Ecco, da un paio di settimane sono in serie assolutamente positiva, e l’elenco di ottimi testi a cui mi sono abbandonato – che comprenderà un paio di romanzi atterrati sul mio comodino direttamente dal Premio Campiello – si è aperto con “La sfuriata di Bet”, nuovo romanzo di quel Christian Frascella già autore del fortunatissimo (e altrettanto divertente) “Mia sorella è una foca monaca”.

Protagonista assoluta della vicenda – e non potrebbe essere altrimenti, se si considera il titolo – è Bet, adolescente dal passato segnato da una tragedia che ha annichilito la sua famiglia e l’ha inevitabilmente segnata profondamente.
Bet è – utilizzerò un eufemismo adatto alla non volgarità di questo luogo virtuale – arrabbiata nera. Si nasconde dietro una corazza di indifferenza e aggressività verbale, demolendo chiunque le si si avvicini con la forza delle parole (e, diciamolo, divertendo infinitamente il lettore). Vive le sue giornate con il senso di colpa di chi è sopravvissuto, senza farsene dominare e battagliando costantemente con coetanei (che non sono sfiorati dal pensiero che un posticino al Grande Fratello non possa essere la migliore delle aspirazioni), adulti (che non possono capire e che le stanno lasciando in eredità un mondo inguardabile), politici, imbonitori vari, sindacalisti, idealisti spenti, professori insulsi. Combatte quotidianamente con una costanza sfiancante, e non viene compresa né ascoltata, fino a quando – con un gesto di ribellione spontaneo, non costruito – Bet si incatena ad un termosifone nell’ufficio del preside, e si libera di tutto il suo malessere in un discorso che viene ripreso da un compagno di classe e diffuso su Youtube…

Non vi farò il torto di raccontarvi il seguito, che è tutto da scoprire. Mi limiterò a consigliarvi di mettere le manine su queste pagine profonde eppure leggere, ironiche e mai banali, e tremendamente vere. Le troverete subito dopo una copertina per cui ringrazio i tipi di Einaudi, perchè io – adesso – Bet la immagino esattamente così.

 

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