E’ sera, sei uscito da un ristorante in cui hai mangiato davvero bene, e stai passeggiando amabilmente sul Naviglio, in ottima compagnia. Ti guardi attorno un po’ stupito, perchè quella zona della città la frequenti poco e ti stai accorgendo di quanto sia cambiata architettonicamente nel recente passato.
Finisce che vi infilate in un nuovo spazio de “Il Libraccio”, che promette solo libri a 2 (due!) euro. E finisce che ne esci con “Il racconto del Vajont” di Marco Paolini e Gabriele Vacis tra le mani, ed un sacco di ricordi nella testa.
Ricordi una gita domenicale a vedere la diga del Vajont, ad esempio. Ed eri piccolino, ma la visione di quella sorta di gigantesca protesi piazzata fra due montagne ti è rimasto impressa, insieme ai racconti di una immane massa d’acqua a trascinare via case e chiese e corpi e scuole. Era il 1986.
E poi ripensi a quella sera di tanti anni fa. Prima serata tv, teatro ai piedi di quella diga che ricordavi, un monologo di più di tre ore che ti costrinse a staccare il telefono e a isolarti dal mondo, che non avevi VHS a sufficienza e mancavano ancora otto anni alla fondazione di YouTube. Era il 1997.
E adesso sei qui, nel 2011, e hai appena passato un intero pomeriggio con questo libro in mano, che ti è costato 2 (due!) euro e che ti ha regalato qualcosa di assolutamente impagabile: una gamma di emozioni e sensazioni.
Ti sei divertito, perchè Paolini sa suscitare il riso quando racconta di paesi toponomasticamente da torpiloquio (Erto e Casso) e delle bestemmie usate come punteggiature da montanari, e di parroci che non se ne preoccupano perchè è un problema di sintassi, non di religione. Ringraziando il cielo ti sei goduto il testo seduto nel balcone di casa, e non in treno: immagini un vicino che ti vede leggere e sogghignare e poi nota il titolo, e sai che passeresti per un dissociato mentale.
Ti sei maledettamente indignato, leggendo delle perizie geologiche che avevano ampiamente previsto il disastro, e della criminale indifferenza di chi avrebbe dovuto vigilare.
E poi ti sei commosso, nel racconto di interi paesi che scompaiono, nel bilancio di un disastro che non riesci a comprendere nella sua enormità, e con la storia di chi ha avuto 4 minuti di tempo per rendersi conto che l’equivalente di cinquemila treni lanciati a tutta velocità si stava per abbattere sul paese.
E’ difficile definire questo libro, come è difficile definire lo spettacolo teatrale che lo accompagna. Non saprei se dargli l’etichetta di documentario, o quella di saggio, o ancora di pamphlet. Quello che so, è che è un libro assolutamente necessario.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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