Il vero mistero di questa pellicola è come sia possibile che abbia riempito le sale così a lungo e sia riuscita a realizzare una tale cassa! Ancora presente oggi, dopo più di un mese dalla sua uscita, in un paio di multisala milanesi, L’ultimo dei templari è il secondo film del 2011 che propone un impavido Nicolas Cage che si confronta con il Diavolo indossando un parrucchino biondo dal taglio lunghetto. Dobbiamo iniziare a credere che vi sia una correlazione, una sorta di condizione contrattuale per la quale Cage si rapporti con il Signore delle Tenebre solo se di chioma lunga e bionda munito? Per ora, l’unica certezza è il tegame tra un’improbabile acconciatura e la monolitica recitazione del primo attore.

 

Nicolas Cage è l’eroe indiscusso di questa storia che lo vede indossare l’armatura in nome di Cristo e disertare per colpa dei ministri di Dio, rei di interpretare un po’ troppo liberamente il messaggio divino. Dopo un inizio tanto belligerante quanto improbabile (e visibilmente riprodotto in studio), tutto dedicato alle Crociate, scaduto il primo quarto d’ora, la narrazione cambia repentinamente direzione e dal campo di battaglia passa ai villaggi piegati dalla piaga del secolo: la peste nera del 1300, che pare abbia realmente spazzato via  1/3 della popolazione europea.

Data l’estensione della malattia e la scia di morti che si portò dietro non solo nel vecchio continente, qui si vuole far credere allo spettatore che la vera ed unica untrice sia una strega, una donna minuta dal viso innocente e prostrato a causa delle maniere decise con le quali le è stata estorta la confessione. Noi la accompagniamo durante il tragitto che la condurrà all’unico luogo in cui potrà mai subire un “giusto processo”, cammino in cui i personaggi si perderanno uno ad uno, vittime dei loro stessi demoni.

 

Opera nera, cupa, che non accende la luce neppure per un secondo e ciò nonostante non riesce ad inquietarci. Non un sobbalzo, non un sospiro o uno stupito “oh…”, è tutto troppo banale, prevedibile e talmente inverosimile da farci dubitare che dietro le quinte vi fosse un manipolo di ingenui. Effetti speciali che sarebbero parsi finti anche trent’anni fa e colonna sonora incapace di sorprendere anche il più giovane e fragile degli spettatori.

Non vi è traccia di polemica contro le conquiste del tempo, contro le streghe o altro tratto distintivo del Medio Evo. Credo si volesse fare un film d’azione/avventura in costume dai risvolti fanta-horror. Un disastro su tutta la linea e dal regista di Gone in 60 seconds, Kalifornia, Codice Swordfish, tanta leggerezza non me la sarei mai aspettata. Esatto, a Dominic Sena conferisco il gradino più alto del podio degli sconfitti, ben più su del suo primo attore (specializzato nel rendere di successo ruoli che imbarazzerebbero la maggior parte dei suoi colleghi), e mi stupisce più dell’assurda traduzione del titolo (da Season of the Witch a L’ultimo dei Templari, quando di templare vi è poco e nulla) il fatto che Ron Perlman si sia prestato al ruolo di co- protagonista. Bocciato!