Deve essere difficoltoso gettare al pubblico una miriade di dettagli per poi ricollegarli meticolosamente uno a uno sino a completare il disegno con una coerente chiusura del cerchio, quando ci si sta destreggiando per la prima volta con una narrazione per immagini. Ok apprezziamo lo sforzo. Posso pure condividere che molti registi vorrebbero essere Guy Ritchie, sta di fatto che solo uno lo sia. Meno comprendo come possa una persona, che ha ottenuto ampio consenso ed i più prestigiosi riconoscimenti nel proprio mestiere, credere di eccellere anche in altri ruoli. Io la chiamo ingordigia!
William Monahan nel proprio campo vorrebbe divenire la versione in carne ed ossa del personaggio di Mary Poppins e per dimostrarlo usa quale agnello sacrificale “London Boulevard”, il romanzo di Ken Bruen: prima lo trasforma in una sceneggiatura, poi veste i panni del produttore e convince due divi del calibro di Colin Farrell e Keira Knightley a farsi dirigere. Ed è così che lo sceneggiatore di “The Departed” (opera che gli è valsa un Oscar) ha esordito alla regia: da non credere…
Il risultato è, a voler essere buoni, un vero disastro! A nulla è valso il supporto al montaggio di Dody Dorn – che ha curato “Memento” – e del premio Oscar per “Mission”, Chris Menges, quale direttore della fotografia.
Sembra che Monahan volesse orientarsi su uno stile noir, molto gangster, ma alla fine non abbia per nulla centrato l’obiettivo al punto di far impallidire, a tratti quasi svanire, le recitazioni dei protagonisti (sulle cui abilità, quando ben diretti, non abbiamo dubbi) che qui risultano nei tratti romantici l’equivalente di cuccioli smarriti e nei rapporti con la malavita addirittura delle grottesche macchiette.
E noi ci annoiamo per due ore interminabili mentre osserviamo il susseguirsi delle scene sullo schermo, molte delle quali non troveranno mai una spiegazione, tutte troppo lente in un’atmosfera molto British, umida, densa di silenzi, buia e quasi fuori fuoco. Un film in cui si dimentica la debole trama che pecca pure di assenza di originalità. Perché che una diva del cinema sia spesso incompresa, sia in balia dei paparazzi, abbia un’affettività squilibrata e costellata di episodi tristi non è una novità, così come le storie di gangster in cerca di redenzione, che s‘innamorano della donna “impossibile” cresciuta in ambiente più “nobile”, nel cinema oramai non si contano addirittura più. E poco importa che la star di turno abbia il volto di Keira Knightly (pare quasi impersoni se stessa) e che il bello e dannato sia Colin Farrell quando li vediamo bighellonare per qualche ora sul set.
Mentre cerchiamo di comprendere cosa volesse comunicare il regista e preghiamo che non si cimenti in un’opera seconda o che, per lo meno, nel mentre veda la luce sulla via di Damasco, consigliamo ai fortunati che sono riusciti sino ad oggi ad evitare le sale che proiettano codesta opera, di investire il proprio tempo libero avventurandosi in altra storia.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”