La laguna di Grado offre, con la Riserva Naturale della Valle Cavanata, la meravigliosa possibilità di osservare un gran numero di uccelli acquatici in un habitat a metà fra il mare aperto ed i canali di acqua dolce. Da piccolino ci sono stato un sacco di volte, ed in ogni occasione con un binocolo più potente (e ci tornerei volentieri anche adesso con la Nikon, mi vien da pensare or ora).
L’ambizione maggiore era quella di riuscire ad osservare le specie più rare: quale emozione nell’immagine di un airone cenerino, o nell’incrociare finalmente l’eleganza di uno svasso maggiore. Quella che proprio non sopportavo era la folaga: banalissimo manto nero, nessun genere di rarità, e la caratteristica di spiattellarsi in una corsa priva di eleganza sull’acqua in un tentativo di decollo che durava più o meno sei chilometri.
Non riesco a trovare metafora migliore per raccontarvi de “Il profumo delle foglie di limone”, sorprendente (è proprio il caso di dirlo) successo letterario del momento di Clara Sanchez, edito da Garzanti.
Proprio come la sfortunata folaga, infatti, il romanzo sembra mettercela tutta, ma proprio non decolla: la narrazione quasi sincopata procede a strappi nell’alternanza delle voci di Sandra (giovane protagonista femminile, un bel po’ gravida ma senza che questo le impedisca di scavalcare finestre e calarsi da un albero) e Julian (anziano reduce dei campi di sterminio nazisti alla caccia di una coppia di aguzzini). L’impianto potrebbe anche rivelarsi interessante se non fosse per una successione di eventi al limite dell’improbabile, per una serie di incomprensibili scelte dei protagonisti e per l’evidente idiozia degli appartenenti alla Confraternita, organizzazione simil-Odessa dedita teoricamente alla protezione di ex esponenti nazisti ma più simile nella trama ad un patetico gruppuscolo geriatrico.
Non ci siamo proprio: romanzo piatto come una foglia d’acero. Non emoziona, non commuove, non trasmette rabbia e non fa neppure arrabbiare. Irrita, questo sia, per sciatta superficialità e per un finale che pare gettato lì da un autore in crisi di panico da pagina bianca.
Chicca ulteriore quella del titolo, pessima “traduzione” dell’originale spagnolo “Lo que esconde tu nombre” (“Quello che nasconde il tuo nome”, suggerisce un’amica iberico-fonica), annullando così quel pizzico di mistero e trasformando la copertina in un sussulto da manuale botanico.
Resta il dubbio sulla permanenza nelle posizioni più nobili della classifica dei più venduti: insieme ai veri mandanti dell’omicidio Kennedy, alla possibilità dell’esistenza di forme di vita nell’Universo e al motivo per cui l’altra fila al supermercato è sempre la più veloce, è destinato a restare un grande mistero irrisolto.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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