Un vero e proprio war movie, roboante sin dalle prime scene, che si è mostrato subito per quello che era: uno spettacolare videogioco dalla perfetta fotografia. 

Complice la compagnia maschile, è stata immediatamente messa alla prova la mia conoscenza dei tratti distintivi di tale tipologia di giochi per ometti e le molteplici similitudini con essi della pellicola appena vista. Senza invidiare nulla ai migliori games quali “Call of Duty”, “Halo” e “Battlefield”, se non per il fatto di non poterne prendere parte, mi rendo subito conto che sto assistendo infatti ad una costante azione ai vertici della tensione (con regolarità quasi maniacale è un susseguirsi di 15 minuti di adrenalina intervallati da 5 di respiro, per poi subito riprendere con ulteriori 15 di corsa) in cui si sviluppano le varie fasi di un qualsiasi videogioco: il momento in cui si deve dimostrare la leadership, quello in cui si deve salvare l’innocente, e ancora l’avanscoperta in solitario e così via. Tutte situazioni supportate dalle tipiche visuali da console, nonostante qui la soggettiva sia stata sfruttata poco con nostro rammarico e con speranza che in futuro possa accadere.

 

Curioso è scoprire che in questi ambienti grondanti testosterone, spesso manchi l’elemento femminile oppure esso sia presente senza mai divenire determinante per il seguito dell’avventura. Anche in ciò la pellicola si dimostra molto coerente: le due esponenti del gentil sesso (la veterinaria civile ed il pilota militare Michelle Rodriguez) non assurgeranno mai a spalla dell’eroe e ciò pare sia dovuto appunto alla tipologia del gioco/ film che è prettamente maschile: è guerra! Ed in effetti si focalizza talmente sulla battaglia che se gli alieni fossero stati sostituiti con rane giganti o con terroristi sarebbe stata la stessa cosa. È una guerra contro i “colonizzatori” chiunque essi siano.
Jonathan Liebesman unendo vari stili, da Ridley Scott ed il suo Black Hawk Down a Roland Emmerich (senza però il suo modo di farci affezionare ai comprimari) e soprattutto Michael Bay (mai però eguagliando il suo stile di regia molto pulito), fa ampio uso della cam a mano per offrirci la versione da trincea di “Cloverfield”. Plot quindi senza sorprese in cui un gruppo di soldati rimasto isolato si trova a dover fronteggiare un agguerritissimo nemico pronto ad estinguerci per sfruttare le nostre risorse. E il mondo verrà salvato, quando oramai si stava perdendo ogni speranza, grazie proprio a questo manipolo di (neanche a dirlo) marines “problematici”. 

Inutile soffermarsi sul fatto che il messaggio patriottico fosse molto forte (la scena del “piccolo marine” è di una pesantezza…) e su come Aaron Eckhart fosse la personificazione del Patriottismo stesso (alcune sue frasi parevano degli slogan elettorali), piuttosto ho avuto a tratti la sensazione di essere di fronte al tipico metodo fanciullesco degli americani di fare “mea culpa”, soprattutto tenuto conto che mediaticamente vengono spesso tacciati di voler colonizzare il mondo. Se infatti questi film normalmente propongono un gruppo, personificazione delle varie tipologie di esseri umani, così da ottenere un coinvolgimento del pubblico al 100%, qui pare sia mancato un buon caratterista. I personaggi non sono delineati in maniera netta, fanno solo da sfondo all’eroe e il film si sbilancia: non vi è il classico eroe vs antagonista o il gruppo di buoni vs i nemici, ma solo un eroe vs… sé stesso. Ogni azione pare tesa a dimostrare che non commetterà mai più l’errore di abbandonare qualcuno e io sento odore di senso di inferiorità…

PS sapevate che questa opera prende spunto da un evento realmente accaduto nel 1942 quando venne avvistato un oggetto non identificato sopra i cieli di Los Angeles? Curioso vero? : - )