Recensione film: “Faster”


(…)
Faster than a bullet from a gun
He is faster than everyone
Quicker than the blinking of an eye
Like a flash you could miss him going by
No one knows quite how he does it but it’s true they say
He’s the master of going faster.
(…)

Vi ricordate questo passaggio di una vecchia canzone di George Harrison? Forse, anzi molto probabilmente no (troppo datata!), ma complice una ottima colonna sonora che non troveremo in vendita (mannaggia all’era degli MP3), mi è venuta in mente. Direi che potrebbe essere il motto di un film tutto testosterone, luoghi comuni, muscoli, motori e stronze, insomma di questa pellicola 

Dwayne Johnson dopo aver tentato di tutto per farci scordare di essere stato in passato “The Rock”, qui ci regala quasi due ore di adrenalina fine a sé stessa, interpretando un personaggio stereotipato, pompato (vedremo 192 cm unicamente di muscoli!) e molto silente. “Driver”, un uomo che ha trascorso dieci anni di galera, dove le ha prese in silenzio (e lo intuiamo ancor prima della scarcerazione), dopo essere stato incastrato da un gruppo di balordi che gli hanno ucciso il fratello sotto gli occhi, quando infine torna a piede libero, cosa fa? Si mette a correre e correre e correre nel deserto sino ad un’autorimessa, sprovvista di anima viva, in cui però lo aspetta un veicolo vintage all’interno del quale non vi è alcuna tanica di acqua bensì solo l’immancabile giacchetta in pelle, che chiunque abbia usurato un polmone nel deserto ha necessità di indossare, soprattutto se deve scorrere una lista aggiornata di persone da giustiziare.

Il nostro eroe in totale esprimerà dieci battute, tra le quali  una quando vedrà la sua ex (di cui non pare fregare nulla a nessuno); un altro paio durante uno scambio con la mammina dall’istinto materno pari a quello della leonessa che mangia i cuccioli; e le restanti mentre spiegherà alle sue vittime il loro destino. Incredibilmente assolutamente nessuna sillaba uscirà dalla sua bocca al momento di condividere la storia della provvidenziale placca metallica che ha nel retrocranio e che gli salverà la pelle ben più di un qualsiasi giubbotto antiproiettile.


Alle calcagna avrà non solo un “Cop” – Billy Bob Thornton che senza troppa fatica fa lo sbirro sbandato, drogato, grazie al cielo vicino alla pensione (e non poteva essere altrimenti!), forzatamente in coppia con una delle tante donne antipatiche che popolano la storia – perlomeno di questa (interpretata da una convincente Carla Giugino già apprezzata in “Sucker Punch) emergerà un lato “buono”, ma anche un Oliver Jackson-Cohen killer psicotico, e cosciente di esserlo, che uccide unicamente per misurare sé stesso e che infatti mentre appronta i suoi fallibili piani fa una seduta di analisi via cavo.

Il timore che sorge? Che l’inedia stia per sedurre anche questi artisti i quali, seppur affermati, son ben più giovani di De Niro e quindi non possono permettersi troppe apparizioni-ripetizione di sé stesse. Quello che oggi è un plus domani potrebbe essere infatti un suicidio artistico, ma per ora ci piace pensare che si siano solo presi un momento di relax 


Quindi, punti di forza sono appunto il cast, che interpretando ruoli già rodati è molto convincente (soprattutto non si prende troppo sul serio!); se non si fosse capito, una colonna sonora da sballo; ed una regia che non perde il ritmo, non ha manie di grandezza (anzi omaggia Walter Hill) e sembra quasi ironizzare sul genere. Opera quindi promossa e consigliata a tutti coloro che vogliono farsi una corsa, senza troppo pensare, con un film d’azione su quattro ruote, roboante, coerente e povero di “pipponi” sul bene e sul male. Nessuna redenzione infatti è all’orizzonte…

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