Recensione Canone Inverso di Paolo Maurensig

A 17 anni, rimasi folgorato da “La variante di Luneburg”. Poi, per un misto di recensioni non positive di qualche amico e il timore di una piccola grande delusione, abbandonai Maurensig.

Ora devo ammettere che è tutto merito dei due fratelli: Luca-il-Rosso mi ha parlato una sera de “L’ombra e la meridiana” (ero a caccia di romanzi con protagonista un fotografo, chi meglio di lui?), e Osky rilanciava ad ogni uscita di nuove opere, attizzando involontariamente un fuoco che – probabilmente – era solo un po’ sopito.

Mi sono tuffato in “Canone inverso” e, dannazione, è un ottimo romanzo: a partire dalla trama, naturalmente, che si sviluppa in una serie di flashback perfettamente calibrati, nel racconto della storia di un violinista talentuoso e di un appassionato competente (e qui – da ignorante in materia – posso solo immaginare il sottile godimento di chi possa sussultare ai continui riferimenti musicali, “Ciaccona” di Bach in primis). Il tutto pronto a concludersi con un finale sorprendente, di quelli che si faranno ricordare.

A convincermi, poi, la curiosa forma di una alternanza costante dell’io narrante, in un gioco letterario che potrebbe apparire virtuosistico (e ci starebbe, considerato il tema del romanzo…), ma che si rivela in realtà assolutamente funzionale. Un caso raro, bisogna pur ammetterlo.

Allo stesso modo, con la stessa unicità, Maurensig riesce a tradurre suoni e melodie in parole, a mantenere in uno sfondo perfettamente a fuoco musica e poesia. Musicalmente, appunto, l’autore goriziano mescola come su un pentagramma dolore e mestizia, storia e irrealtà, amicizie e tradimenti, in un romanzo agile, furioso, bellissimo.

La citazione:
“La musica è la mia consolazione. Quest’arte, nella sua essenza sfuggente, nella continua vanificazione di se stessa assomiglia all’idea che mi sono fatto della vita”

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