A volte entrare in libreria è un po’ come sedersi sulla spiaggia ed iniziare a giocare con una manciata di sabbia. Più l’avvicini al viso, e più la osservi con attenzione, e più ti rendi conto che quella che sembrava una forma quasi immateriale è in realtà composta da minuscoli granelli, diversi l’uno dall’altro.
Come scegliere una buona lettura in una simile moltitudine?
Beh, una buona possibilità è quella di indirizzarsi verso lo scaffale “Letteratura contemporanea straniera”, scorrere le prime file e fermarsi su Auster, Paul Auster. Difficilmente porterete a csa qualcosa che non vi conquisterà.
E difficilmente non vi conquisterà “Sunset Park”. La storia di Miles ritrae gli States contemporanei fin dalla prime righe: il protagonista campa sgomberando case abbandonate da chi non poteva più permettersi di pagare il mutuo, in una fotografia perfetta della crisi economica che ha colpito il mercato immobiliare. “Fotografia” non è un termine a caso, perchè Miles – a differenza di alcuni colleghi con meno scrupoli – eterna proprio con una macchina fotografica gli oggetti abbandonati, quasi ne avvertisse i riflessi di vita dei precedenti proprietari. Un’immagine che ho trovato bellissima.
Nel proseguo del racconto Miles si troverà a fare i conti con il suo passato, costretto a rientrare a New York – città da cui manca da anni per un volontario allontanamento dalla sua famiglia – a causa di una situazione sentimentale un po’ complicata (parentesi: mi accordo di limare le frasi come sempre per evitare spoileraggi, poi guardo la seconda di copertina di Einaudi e scuoto un po’ la testa); anche nella Grande Mela, il tema della casa e della sconfitta hanno un ruolo dominante, in continuità con la galleria di personaggi – spesso indimenticabili – che caratterizzano i romanzi di Paul Auster. Personaggi verso i quali diviene naturalmente forte il principio di immedesimazione, quello che ti fa proseguire nella lettura con animo via via più spaventato o intento, in bilico fra la necessità di capire se vi sia una catarsi o se la strada continuerà a puntare inevitabilmente verso il basso.
Un trama scorrevole e ben strutturata, una invidiabile scrittura mai oltre il limite, personaggi che dipingono un’epoca senza mai suscitare l’impressione di diventare macchiettistici: un’altra, ennesima bella prova letteraria, che vale sicuramente la pena affrontare. Arricchita da citazioni musicali e cinematografiche che, se colte, aprono un ulteriore capitolo da portarsi dentro per un bel po’.
La citazione:
“L’unico lusso che si concede è comprare libri, (…) ma alla fine i libri non sono tanto un lusso quanto una necessità, e leggere è una malattia da cui non vuole essere curato.”
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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