Recensione I salici ciechi e la donna addormentata di Haruki Murakami

Una passeggiata in un bosco, tra radure soleggiate che si aprono all’improvviso e  rami adunchi pronti a far male, tra sentieri battuti sull’erba verde e buche profonde pronte a mordere le caviglie.

Camminiamo, ed incontriamo tutte le piante tipiche della poetica di Murakami: ecco, quello li a destra è l’albero autobiografico, ai cui frutti lo scrittore giapponese attinge per dare linfa al racconto che regala il titolo alla raccolta e per un ulteriore excursus sulla sua gioventù fine anni Sessanta.

Proseguiamo orientandoci con la posizione del sole e finiamo per incontrare una curiosa forma vegetale: è il (semovente) cespuglio del fantastico, alla cui magnifica esuberanza non ci abitueremo mai: Lo Specchio e L’Uomo Di Ghiaccio sono due esempi perfetti della capacità di Murakami di far danzare realtà ed irrealtà in una musica magica e mai cacofonica. E’ una delle poetiche dell’autore giapponese che amo di più, e che mi coinvolge emotivamente con più forza: universi improbabili che si aprono ai nostri occhi in un istante, e che catturano infinitamente.

E prima di uscire da questo affascinante sentiero, ritornando a forme di vita più tradizionali, sostiamo per un secondo davanti alla Pianta della Solitudine: il terriccio mosso da poco dimostra che Murakami ha fatto un passaggio anche qui, con quella delicatissima mistura di tristezza esistenziale e leggerezza che è propria di tutti i suoi testi, e che lo rendono – di prepotenza – uno dei fenomeni letterari più interessanti e forti dell’ultimo cinquantennio.

P.S. Per chi volesse proseguire la passeggiata, il sito italiano dedicato ad Haruki Murakami è semplicemente leggendario: citazioni, racconti inediti tradotti con passione, vere chicche (cito una intervista di Jonathan Lethem a Murakami realizzata  a New York nel 2000). Vale la pena passarci delle ore, come sto facendo io.

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