Recensione Acciaio di Silvia Avallone

Mmmmmmmm.

Non è mai una buona cosa quando una recensione inizia con “mmmmmmm”. Vediamo di provare a sintetizzare elementi positivi ed altri che mi hanno lasciato perplesso nella lettura del  fenomeno editoriale estivo italiano.

Trama: francamente banalotta. La portata principale propone essenzialmente sulla storia dell’amicizia fra due ragazze tredicenni e l’insicurezza adolescenziale nell’affrontare il mondo, i sentimenti, il sesso. Come contorno, ci vengono serviti una serie di luoghi comuni piuttosto triti: violenza domestica, crisi economica, i giovani che tirano di cocaina prima della disco o del lavoro, un night che sembra la caricatura dei peggiori bar di Caracas. Sostanzialmente, non se ne sentiva la mancanza.

Personaggi: il focus principale è su Anna e Francesca, amiche per la pelle con accenni lesbo in almeno una delle due. Fin dalle prime pagine, la narrazione è quasi voyeuristica nella descrizione di corpi adolescenti in crescita, perfettamente scolpiti, e raggiunge il suo culmine in una scena di balletto-spogliarello all’interno di un bagno, con finestra agevolmente spalancata agli occhi dei vicini di casa. Attorno a loro, maschietti arrapati come scimmie bonobo, padri maneschi e/o sulla via della delinquenza, le amiche inguardabili ed ovviamente rose dall’invidia.

Ambientazione: non ho potuto fare a meno di seguire le polemiche scatenate dagli abitanti di Piombino dopo il successo del romanzo, ambientato in un ipotetico quartiere degradato della cittadina toscana. Ondate di indignazione per proclamare al mondo che la via Stalingrado descritta nel libro – con pattume sulle scale, siringhe abbandonate, tetri casermoni teatri di violenza – non esiste, e che la vera Piombino è differente. E qui mi tocca supportare la Avallone: ehi, ragazzi, è un romanzo, e in quanto tale l’autore-demiurgo può descrivere quello che è risulta più adatto alla narrazione. Bando agli isterismi.

Provo a chiudere con una venatura di speranza: è chiaro che questo libro è stato spinto decisamente da logiche editoriali e commerciali. Non se ne spiegherebbe gran parte del successo, in caso contrario: proviamo per un attimo a immaginare lo stesso testo pubblicato da una piccola casa editrice e scritto da una anonima sessantaduenne pesarese… Ma la Avallone è giovane, sa scrivere e ha un certo gusto per la parola (bagaglio, immagino, delle sue precedenti esperienze editoriali, indirizzate alla poesia). Dovesse provare a superare la sindrome del successo a tutti i costi e delle ambientazioni facili simil-mocciane, sono convinto che possa essere una buona scoperta per il futuro.

 

 

 

 

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