Recensione Come rapinare una banca svizzera di Andrea Fazioli

Inizierei con il sottolineare che l’accoppiata “titolo e copertina” è fra le più riuscite che io ricordi negli ultimi anni. La croce bianca in campo rosso non può che richiamare la confederazione elvetica, ambientazione del romanzo; l’aggiunta di una sagoma umana – peraltro incappucciata – la trasforma in una sorta di mirino, con un effetto grafico particolarmente piacevole. Il titolo completa il lavoro e rende l’ultimo romanzo di Andrea Fazioli davvero riconoscibile sugli scaffali della vostra libreria preferita.

Poi, certo, non ci si limita alle caratteristiche estetiche: “Come rapinare una banca svizzera” è un sorso di acqua fresca nel panorama del giallo, scevro da ogni derivazione inutilmente noir o forzatamente truculenta. Una trama che ci azzarderemmo a definire delicata, se il termine non facesse pensare ad una solida lentezza, e questa storia di dilettanti della rapina costretti dalle circostanze a mettere in atto il colpo del secolo può essere dipinta in tanti modi, ma non con i temi della lentezza, appunto.

In aggiunta a questo, ciò che più convince della scrittura e dei romanzi di Fazioli risiede nei suoi personaggi: primo fra tutti Elia, il detective privato protagonista della storia, ritratto di un’anima che si interroga e si allontana da stereotipi superoministici. Per proseguire con la sua Donna (la maiuscola non è un errore di stampa) e con Jean Salviati, anziano rapinatore trasformatosi in tranquillo e capace giardiniere e costretto dall’amore paterno a riprendere in mano i ferri del mestiere.

Poco importa che il finale possa sembrare eccessivamente buonista o improbabile: Fazioli sembra suggerire che le storie – quelle vere – nascono dalle interruzioni delle routine, di qualunque genere esse siano, e che nella ricerca di un affetto perduto ci sia moltissimo della ricerca di noi stessi.

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