Ci sono diversi motivi per cui un vagone della metropolitana pieno può risultare fastidioso: in estate, quel curioso misto di sudore e aria (mal) condizionata può non essere apprezzata dall’olfatto, e la tradizionale ressa delle 18 causerebbe crisi di ansia anche in un militare della Delta Force.

Rassegnandomi al fatto di avere un appuntamento, e di non poter quindi ipotizzare l’utilizzo di mezzi alternativi di superficie, mi ci sono infilato cercando di distrarmi con una buona lettura. Inutile a dirsi, la concentrazione di corpi umani ha una densità che sfida la legge di non compenetrabilità dei corpi, ma tra la selva di braccia, borse, gambe e sacchetti intravedo uno spazio in cui guadagnare qualche molecola di ossigeno. Per raggiungerlo, mi trovo a (letteralmente) circumnavigare una signora di peso stimabile in un paio di tonnellate abbondanti. Io, novello Caboto, non mi faccio intimorire, mentre la mente vaga e alla sua prima gomitata comincio a desiderare che venga utilizzata come tappo per la perdita di greggio che sta devastando le coste USA, compito per il quale ha – senza dubbio  – la stazza adatta.

La scena si sposta in cima al convoglio, dove il guidatore ATM – probabilmente obnubilato dai fumi di uno spinello delle dimensioni di un cannone navale da 55 pollici – intravede vicino ai binari una versione (più) porno di Jessica Rabbit, e decide di inchiodare per lanciare con un fischio assordante il suo apprezzamento.

Nonostante uno scatto felino, ritratto nella diapositiva che segue:

mi trovo a sopportare un peso pachidermico, perchè la sciura non ha mica pensato di aggrapparsi saldamente alla sbarra mentre sfogliava tra le mani (enormi) una copia di Novella 2000: con precisione chirurgica, il tacco della sua scarpa destra (solitaria colonna d’Ercole già provata dagli eventi) si pianta ESATTAMENTE sul mignolino del mio piede sinistro.

Ricordo un lampo bianco attraversarmi il cervello ed offuscarmi la vista, mentre il dolore faceva sì che mi si ritraessero le unghie dei piedi; un sorta di nebbiolina  color panna  al centro della quale mi è apparso San Pietro, che mi ha spiegato che le due o tre paroline che avevo pensato mi avrebbero precluso l’ingresso tra i beati, oltre ad essere considerato reato penale in almeno una mezza dozzina di stati.

Lo scambio di battute immediatamente seguente è prova decisiva della mia capacità di non tradurre i pensieri (nei corsivi che seguono) in parole:

Sciura: Mi scuuuuuuusi. Le ho fatto male?
Alf: (certo che sì, cavolo, ti sembro l’uomo roccia dei Fantastici 4?) –> Nessun problema…
Sciura: E’ che ha frenaaaaaaaaaaaato all’improvviso!
Alf: (tranquilla, ho una vita sociale quasi inesistente, mi ci voleva proprio un appuntamento con un ortopedico) –> Capita.
Sciura: Per fortuna sono rimasta in piedi!
Alf: (per fortuna sì, se mi cadevi addosso tipo pubblicità della Impulse avrebbero dovuto chiamare Key Scarpetta per la ricomposizione del corpo) –> Eh, meno male.

Ora son qui che scrivo, e osservo le brillanti sfumature bluastre del mio mignolo sinistro, reso quasi insensibile dalle tonnellate di ghiaccio in cui l’ho avvolto. Il farmacista – fra le risate – mi ha consigliato una scarpa aperta per almeno un paio di giorni.

Se domani beccate uno sulla linea rossa con giacca e cravatta ed una ciabatta al piede, per cortesia, non tirate fuori una monetina scuotendo la testa e mormorando “povero figliolo”.