Come sempre, in una mostra di tale lignaggio e con l’aspettativa che automaticamente vi si genera, si mescolano aspetti negativi ed aspetti positivi.
Cominciamo dalla bella mescolanza fra generi e linguaggi che propone il sito ufficiale della mostra (Edwardhopper.it); nella sezione “Hopper e il suo tempo” si intersecano musica, cinema e letteratura, in un interessantissimo confronto fra “ciò che ha ispirato Hopper” e “ciò che è stato ispirato da Hopper”. Naturalmente, anche la mostra cerca di condurre il visitatore nella parabola artistica di Hopper, con la stessa dinamica, e – anche con il concorso di efficaci spiegazioni didascaliche, francamente ci riesce.
Sempre nel sito web, ad oggi sconsiglierei calorosamente l’area “Compra il biglietto”, che consente di prenotare la visita: finisce che ti metti in coda, controlli quale sia la fila che si muove più velocemente, la scegli convinto di essere nel giusto, e finisci per scoprire che la “cassa” giusta era l’altra, quella più lenta. Per quale motivo la cassa che dovrebbeessere più rapida nella sola consegna del biglietto è più lenta? Facile, visto con i miei occhi il povero operatore scorrere a manina i biglietti prenotati e già stampati, oltretutto con il nome del visitatore in font 2…
Pur trattandosi della più imponente retrospettiva dedicata ad Edward Hopper in Italia, e pur contando su un totale di 160 opere, un minimo di delusione per la mancanza di alcune delle opere più celebri c’è, inutile negarlo. Ciò nonostante, l’occasione è praticamente unica, e ho trovato estremamente interessanti i bozzetti preparatori che accompagnavano alcuni dei quadri esposti: secondo me, raccontano molto della poetica di Hopper. Narrandone la “costruzione”, finiscono per aiutare ad entrare nell’idea di Hopper, scevra da aspetti più rappresentativi conseguenti. Piccolo esempio:
E visto che siamo capitati su Morning Sun (Sole del mattino), segnalo anche la presenza, all’interno del percorso espositivo, di una installazione di Gustav Deutsch, film-maker e video artista austriaco: è ricostruita, con le prospettive opportune, la scenografia del dipinto, e una telecamera inquadra la scena rimandando le immagini su un monitor. Sola assenza sullo schermo quella della figura femminile, che viene sostituita dal visitatore, con la possibilità di entrare “davvero” in una quadro di Hopper.
Curiosissima la sezione “erotica” della mostra, in cui vengono esposti una serie di quadri e studi forse meno celebri, ma assolutamente intriganti: abituati alle figure femminili enigmatiche, quasi sfuocate, certamente poco definite di “Morning Sun” o “Hotel Room”, sorprendono i dettagli delle chine e la fisicità di “Girlie Show”, il quadro che segue:
E qui chiudo, con la domanda angosciante che ci siamo fatti io e fratellone nello stesso istante: cosa ci fa Fassino in quadro di Hopper del 1941?
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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