MFF 2009 – Lungometraggi: MENTEUR

A meno che sabato prossimo arrivi Noè con la sua Arca (qui la pioggia sta diventando fastidiosetta), i milanesi e gli abitanti delle zone circostanti devono andare al teatro Strehler: standing ovation per il film belga Menteur, primo lungometraggio (in concorso!!!) di un regista già noto agli abituali frequentatori del festival per i suoi corti.
Da vedere questi intensi 78 minuti che ti fanno perdere la cognizione del tempo e ti regalano un customizzato calcio  nello stomaco (si è proprio il caso di dirlo).
Soggetto non originale (Nicole Garcia già nel 2002 affrontò tema simile ne L’Avversario*), ma decisamente attuale: la disoccupazione e la ricerca di ricollocazione nel mercato del lavoro. Ovviamente qui viene rappresentata in forma estrema: protagonista non brillante, privo di carriera universitaria, senza ambizioni, bugiardo e soffocato in famiglia dal continuo paragone col fratello di successo (aspetto questo efficacemente definito da altri come “Ritratto claustrofobico della famiglia come luogo in cui avvengono le crudeltà più efferate, catalizzatore delle frustrazioni dei padri”).
Incredibile come ognuno di noi nonostante abbia retaggio differente possa immedesimarsi  nel protagonista, chi per il rapporto con la famiglia, chi per lo svilimento da colloquio di lavoro con mandrie di altri candidati e selezionatori distratti che recitano sempre il medesimo copione, chi per i piccoli o grandi ritocchini del proprio curriculum vitae. Ce n’è per tutti e decisamente non si rimane indifferenti.
Elogio alla fotografia glaciale che in prima battuta lascia un po’ interdetti, la cui freddezza rende ancora più intenso il film. Grande l’attore principale che nei suoi momenti di schizofrenia ha reso molto bene il dramma dell’impotenza. Buona (anche se non nuova) l’idea di trasporre in immagine i pensieri del protagonista – ammettiamolo, tutti noi almeno una volta nella vita avremmo voluto dare una ben assestata testata al nostro interlocutore. Io almeno un paio di occasioni me le ricordo bene.
Finale con rivelazione che completa un’opera che ha tutte le carte in regola per dare visibilità a questo regista.

(*) ndr: sull’argomento, ricordavo di aver letto un romanzo (cronaca?) davvero ben scritto, di quelli che attacchi a leggere e non riesci a smettere neppure di fronte a quelli che nella giurisdizione americana sono definiti “Act of God”. Il titolo è, parimenti, “L’avversario”, l’autore Emmanuel Carrère.  Alf76

(due immagini splendide, tratte dal blog cinementeur.blogspot.com)

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