Recensione Zia Mame di Patrick Dennis

Avrei voluto postare un recensione di tre lettere: “boh”.

Poi mi sono reso rendo conto che sarebbe stato poco nobilitante, e mi sono convinto a cercare di tradurre in un italiano appena più esteso l’espressione di perplessità mista ad incomprensione che viene resa così efficacemente da quell’espressione ingiustamente boicottata. Quanti “boh” meriterebbero alcuni momenti della vita!

(Altra) premessa: ho portato a casa Zia Mame ben prima che ne scaturisse il fenomeno letterario estivo del 2009. Convinto da una seconda di copertina accattivante e dalla garanzia Adelphi: ci sono tre o quattro collane di case editrici su cui mi sento di andare ragionevolmente sul sicuro.

Quindi comprato, letto e messo via (nella pila “in attesa di recensione”) in una settimana. Confesso che il libro non mi aveva colpito più di tanto: carina, per l’amor del cielo, la storia di un ragazzino divenuto (quasi comicamente) orfano e cresciuto dal vero protagonista del romanzo, la zia eccentrica che regala il titolo al libro. Un tutrice decisamente sui generis, portata alla fantasticheria e al lasciarsi trascinare dalle mode e dal momento, almeno quanto Patrick – con il passar del tempo – anela ad una esistenza tutto sommato tradizionale. Due o tre passaggi quasi di rilievo, un paio di capitoli al limite del “buttato lì”, un finale tendenzialmente scontatuccio. Fine.

Un paio di giorni dopo, scopro sul Corriere che è diventato il libro dell’estate. Le spiagge si colorano del color aranciosalmone della copertina, le pile di volumi si avvicinano inesorabilmente alle casse, lì dove vige l’imperativo del cosiddetto “acquisto d’impulso”. Io mi interrogo.

Una settimana dopo – sul Corriere – i critici ci si accapigliano in una graziosa lotta nel fango letteraria, ed i lettori si dividono guelfo-ghibellinamente fra entusiasti e detrattori. Io mi interrogo e inarco le sopracciglia.

Tre giorni dopo, sul Corriere si intervistano i VIP: si domanda se ci sia mai stata una Zia Mame nella loro infanzia, e quale impatto abbia avuto sulla sfera emotiva, affettiva, persino sessuale.
Io non mi interrogo più, inarco le sopracciglia, e sul volto si dipinge indelebilmente la più antica delle espressioni, quella di un neanderthaliano che si domanda da dove iniziare a spolpare il brontosauro: boh.

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