Recensione Amabili Resti di Alice Sebold

Ti sei appena alzato dopo una splendida nottata di sonno ristoratore. Sei in piedi davanti allo specchio, apri l’acqua per darti una prima sciacquata al viso e nel frattempo ti stiracchi, le braccia allungate sopra la testa e un sorriso di soddisfazione sul volto e… BAAAAAM da dietro lo specchio spunta Mike Tyson che ti scarica 124 chili di potenza con un gancio destro al plesso solare.

Ecco, “Amabili resti” ha più o meno lo stesso impatto.

È la storia di uno strupro e dell’omicidio di una quattordicenne, raccontato oltretutto in prima persona; di più, il racconto in prima persona prosegue anche dopo la morte, e ci trascina con Susie oltre la vita terrena, in un Cielo che non è del tutto Paradiso ma da cui si può vedere il mondo, e registrare le reazioni di amici e parenti alla morte di un caro. Da questo osservatorio privilegiato Susie assiste allo sfasciarsi della sua famiglia, si commuove per le inevitabili difficoltà relazionali della sorella, incita silenziosamente il padre che non si rassegna e indaga sulla sua morte, tentando di assicurare alla giustizia il carnefice della figlia.

La Sebold regala un romanzo difficile da dimenticare in cui molto, moltissimo è autobiografia. E mentre ti poni delle domande destinate a restare senza una risposta su crudeltà, ferocia, brutalità dell’uomo, comprendi che quel pugno non ti ha fatto troppo male, in fondo, perchè ti ha fatto pensare, ed è difficile chiedere molto di più ad un romanzo.

Citazione:
Quando ero piccola papà mi metteva seduta sulle sue ginocchia e prendeva in mano la palla. La capovolgeva perché la neve si raccogliesse tutta in cima, poi con un colpo secco la ribaltava. Il pinguino è tutto solo, pensavo e mi angustiavo per lui. Lo dicevo a papà e lui rispondeva : ‘Non ti preoccupare, Susie, sta da re. E’ prigioniero di un mondo perfetto”

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