(Lo so, l’ho fatta sudare un po’ ma sono state giornate un po’ complesse. Però ci tenevo a pubblicarla all’alba del 10 luglio, che è diventata, nel mio immaginario, una giornata speciale e che andrebbe inserita rapidamente nel calendario delle festività. Sarà il mio primo atto di governo una volta assunto il ruolo di Presidente Interplanetario, subito prima di aver proibito agli ottuagenari di fiondarsi in banca o in posta prima delle undici di mattina)

Pride and Glory

A caldo? Bingo un’altra volta! Ennesima americanata (sempre visionata sotto la pioggia…) di ottima fattura – scivolone finale a parte. Ecco il classico film che scorre nelle nostre teste quando citiamo la parola “poliziesco”. Quei bei polpettoni prodotti dalle major su poliziotti corrotti in complicata metropoli (e chi se ne frega quale), nell’immaginario collettivo considerati film di evasione corredato da storia credibile ed accettabile.

(Qui mi scappa un corsivone: vuoi vedere che c’è una correlazione fra la visione di un buon film e le condizioni atmosferiche avverse? Se così fosse, con tutta l’H2O che si è riversata su Milano ultimamente, potremmo festeggiare ampiamente…)

Partiamo dal titolo che non essendo stato tradotto ha senso (!) ed è da tenere ben presente durante la visione. Infatti PRIDE è ciò che lo rende diverso dagli innumerevoli precedenti film del genere.
Vengono portate avanti parallelamente una storia ben strutturata di corruzione in un distretto di polizia newyorkese e quella di una famiglia (quindi dei suoi valori) tanto per cambiare irlandese. Ovvia quindi la scelta degli attori C. Farrell ed E. Norton supportati da J. Voight nella veste del patriarca puritano irritante soprattutto quando in maniera ottusa vuole tenere insieme la famiglia che sta inesorabilmente andando in pezzi (e tutto sommato ne è cosciente posto che costantemente tiene ben saldo bicchiere ricolmo di whiskey). Piuttosto credibili, no?

Classica storia che ruota attorno ad una famiglia di poliziotti: padre con passato encomiabile, figliuol prodigo con carriera castrata per aver protetto i colleghi e di conseguenza con matrimonio distrutto alle spalle (ma fedele al concetto di branco), fratello in carriera con dramma famigliare (la prossima volta per cortesia che lo si renda più credibile – siamo nell’era degli effetti speciali che diamine!) e cognato  ovviamente poliziotto.

(lo so che le mie interruzioni corsive infastidiscono e tolgono ritmo, ma che diamine: adoro la capacità di V. di caratterizzare i personaggi ed adoro altresì l’uso che fa delle parentesi. Non è una questione stilistica: è proprio che mi sembra di essere davanti a un caffè e di sentirmi narrare con entusiasmo di un film, con un racconto che mi tiene inchiodato alle parole)

Film che scorre veloce intriso di scene violente che stimolano lo spettatore a riflettere su quale e dove sia il confine tra lecito ed illecito, ma una volta giunti al finale ci si arrabbia: inquadrature mielose di foto di figli, patetica scazzottata in famiglia, improbabile passeggiata sotto i piloni della metropolitana durante una rivolta, il cattivo che per espiazione si fa massacrare…. NO NO NO (!) vien voglia di urlare allo schermo – perché vanificare così il tempo trascorso in sala? Si voleva massificare una buona pellicola? Che peccato…

Domanda del giorno: qualcuno si ricorda per quale motivo in fase di montaggio qualche anno fa venissero incluse le riprese in cui erano visibili asta e microfono? Non so come mai ma erano onnipresenti durante tutto il film.