“Bloody Mary” è vista. La visione di Aleya, nata in un villaggio nigeriano e troppo bella per non essere rapita, venduta, negoziata come carne da piacere, in patria prima e su un abominevole mercato italiano subito dopo.
“Bloody Mary” è tatto. Le mani di Marek, ragazzo polacco alla ricerca di un futuro migliore, partito da Cracovia e approdato nel profondo sud italiano, dove proprio le mani diventano lo strumento per la raccolta stagionale dei pomodori, fra campi, kapò, filari e brandine.
“Bloody Mary” è olfatto. Per entrambi, l’odore del sangue, dei rifiuti in cui si è costretti a vivere, della miseria. L’odore di sogni infranti, di fatica e bestemmie, di speranze coltivate e destinate a sfumare in un pestaggio.
“Bloody Mary” è udito. Le urla degli aguzzini impegnati a garantire la massima produttività della raccolta della verdura, le risate bieche e volgari di chi vende corpi e schiavitù come beni da mercato rionale.
“Bloody Mary” è gusto. Il gusto amaro che lasciano nella gola queste 205 pagine, racconto nerissimo di una realtà che cerchiamo di lasciare da parte, bambini convinti di chiudere gli occhi e riaprirli quando tutto sarà passato.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.