Recensione di Lady Bird, il film di Greta Gerwig candidato a 5 premi Oscar® al cinema dal 1° marzo 2018.
Christine “Lady Bird” McPherson (Saoirse Ronan) è un’irrequieta liceale di Sacramento, città appartenente al lato molto sonnolento e poco divertente della California.
Qui, durante l’ultimo anno di scuola, Lady Bird matura la sua personalità, probabilmente artistica, delicatamente ribelle nei confronti della modesta famiglia, generosamente confusionaria nella conoscenza dell’amore e del sesso.
La scelta universitaria è imminente, e con essa il futuro. Tra speranze e ostacoli, in un momento di passaggio che negli States assume l’importanza di una seconda nascita, Lady Bird tenta di spiccare il volo.
Greta Gerwig debutta alla regia solitaria (dopo quella di Nights And Weekends, condivisa con Joe Swanberg) con un racconto prevalentemente autobiografico che condivide un momento cruciale della sua adolescenza, seguendo quell’andatura agrodolce tanto cara alla tradizione americana di Sundance e dintorni.
In effetti il nocciolo del film è roba già vista, con ogni condimento possibile, dall’ultra cinismo quasi fumettoso di Juno al realismo fiabesco di Noah Baumbach (non a caso compagno attuale della Gerwig), l’adolescente con ambizioni artistiche ed ampie vedute contro un quartiere arido e stagnante è stato saccheggiato in lungo e in largo.
Tuttavia, in Lady Bird l’effetto-ricalco non emerge e le ragioni sono tanto numerose quanto comprensibili.
La prima e principale è la genuina autoreferenzialità delle esperienze: le tortuose e commoventi dinamiche scolastiche e familiari di Lady Bird parlano della crescita dell’autrice, di una goffaggine di provincia contrapposta alle copertine delle riviste teen (che la protagonista sfoglia, incantata, ma senza acquistarle perché “sono roba da ricchi”), di mezzi modesti, poche idee chiare e molti tentativi.
Così i tópoi adolescenziali come il primo appuntamento, la disinvoltura costruita a tavolino, la ribellione contro l’istituto cristiano, il sesso, il ballo di fine anno vengono restituiti al grande schermo con sorprendente freschezza ed ingegno.
Il grande valore di Lady Bird sta nei dettagli, da un copione ispirato a un cast scelto alla perfezione: perché se la Ronan (giustamente candidata all’Oscar) non fa più notizia, “mamma” Laurie Metcalf e soprattutto l’adorabile “papà” Tracy Letts sono un supporto fondamentale.
Va anche detto che il momento della scelta del college assume molti più significati e micro dolori per le platee americane rispetto a noi che, mal che vada, diventiamo fuorisede a mezza giornata di viaggio da casa e dalle nostre radici. Il distacco dal nido, il dualismo tra irraggiungibili università private e quelle pubbliche, il taglio dei cordoni omologanti del liceo diventano così crocevia di importanza e implicazioni vitali.
La Gerwig le racconta con cuore e fantasia, dissipando le perplessità di chi, come me, del mood agrodolce per eterni cine-adolescenti ne ha piene le tasche e lascia un’empatica testimonianza per chi ha vissuto più male che bene quel delicato, istituzionale rito di passaggio.
Voto: 7/10
Luca Zanovello
Responsabile della sezione Cinema e del neonato esperimento di MaSeDomaniTV (il nostro canale Youtube) Luca, con grazia e un tocco ironico sempre calibrato, ci ha fatto appassionare al genere horror, rendendo speciali le chiacchiere del lunedì sulle novità in home video, prima di diventare il nostro inviato dai Festival internazionali e una delle figure di riferimento di MaSeDomani. Lo potete seguire anche su Outside The Black Hole