Recensione del film The Happy Prince, il biopic sugli ultimi giorni di Oscar Wilde scritto, diretto e interpretato da Rupert Everett.
Oscar Wilde, scrittore e poeta, osannato e applaudito nei teatri di Londra prima e di tutto il mondo dopo, sublime cultore della bellezza e della parola che sapeva calibrare in maniera precisa, puntuta, all’occorrenza divertita. Aveva un difetto: subiva il fascino del genere umano ed esso lo ripagò conducendolo alla rovina. Accusato, processato e condannato ai lavori forzati per un amore sbagliato, Wilde finì i suoi giorni in povertà, lontano da casa e, ancora una volta, in balia dei suoi vizi. Morì a Parigi circondato da pochi amici, in un ambiente che non aveva nulla di sfarzoso e affascinante.
Ogni studente si è trovato tra le letture estive Il Ritratto di Dorian Gray, probabilmente è stato portato a teatro a vedere L’importanza di Chiamarsi Ernesto e, spinto dall’onda, ha maneggiato una copia del De Profundis senza ben collegare quei versi alla tragedia che sconvolse la vita del loro autore, un’onta da cui solo nel 2016 venne riabilitato. Esatto, ci son voluti più di cento anni. Il crimine per cui fu punito brutalmente? L’omosessualità. La sua passione per il giovane Bosie, all’anagrafe Lord Alfred Douglas, gli costò una punizione dalle ripercussioni durissime.
E oggi Rupert Everett, decide di ripercorrere proprio gli ultimi drammatici momenti dell’esistenza di Wilde in The Happy Prince, il film che ha scritto, diretto e interpretato, e presentato alla Berlinale dopo la première al Sundance nel mese di gennaio. Il lungometraggio segna il suo debutto in cabina di regia e non stupisce abbia scelto un personaggio che conoscesse tanto bene. Nella sua carriera ha, infatti, interpretato molti protagonisti di opere del noto autore irlandese.
The Happy Prince è un biopic che colpisce per la naturalezza con cui riesce a portarci al fianco di un cast visibilmente a proprio agio. Andiamo in Francia, Italia e Inghilterra. Ricordiamo il significato di amare ed essere disposti a perdere tutto per esso. Vediamo le umane debolezze e lo squallore che ne può conseguire. Entriamo nei localacci fumosi per ascoltare il genio dare spettacolo mentre è stanco e strafatto (di assenzio, droga e sesso). È il regno della decadenza e dell’autodistruzione. C’è un forte odore di morte ma nulla è patetico.
La versione di Everett dei capitoli più cupi e nascosti di Wilde sono privi d’ironia, quella che rimane la stempera nel flashback che ci riportano ai momenti di trionfo, in cui era uno stimato membro della società, applaudito ogni sera e festeggiato da tavolate di amici. Le immagini hanno il pregio di mantenere un’impalpabile filtro che ci proteggere dal cadere nel tranello delle facili lacrime. Ciò non significa che il regista abbia preso le distanza dal pubblico, al contrario, l’ha protetto e messo in prima fila durante l’ultimo atto di un’esistenza destinata ad essere ricordata in eterno.
E Rupert Everett ha vinto una nuova sfida in nome dell’amato Oscar Wilde.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”