Recensione di 7 Days in Entebbe, il film diretto dal regista brasiliano José Padilha che si confronta un difficile capitolo di storia recente, presentato in anteprima alla Berlinale 2018.

Rosamund Pike e Daniel Brühl nel film 7 Days in Entebbe © Liam Daniel

Rosamund Pike e Daniel Brühl nel film 7 Days in Entebbe © Liam Daniel

LA STORIA

Il 27 giugno 1976, il volo 139 Air France da Tel Aviv a Parigi, dopo lo scalo di Atene, venne dirottato. A bordo c’erano 248 passeggeri di varie nazionalità. Un centinaio aveva passaporto israeliano. Erano anni di tensione, neanche a dirlo il commando era formato da due palestinesi e due tedeschi. Si dichiaravano tutti rivoluzionari e, altrettanto prevedibilmente, a favore della causa palestinese. Israele era noto per non negoziare coi terroristi e questa peculiarità fece tremare tanti a bordo di quell’aereo nei 7 giorni in cui rimasero in ostaggio all’interno del vecchio aeroporto di Entebbe, in Uganda.

Il coinvolgimento dello stato africano nella storia ha molto a che fare col suo eccentrico dittatore, Idi Amini. Amini era considerato un folle, inizialmente era “amico” di Israele poi simpatizzò con i Palestinesi, di fatto si era offeso per una fornitura di velivoli da combattimento non concessa, e per ritorsione offrì supporto logistico e militare al gruppo sovversivo. Un gruppo che si allargò una volta giunto a destinazione e il cui scopo era di ottenere il rilascio di 40 detenuti palestinesi oltre ad un bel po’ di soldi. L’epilogo dell’Operazione Entebbe è noto a chi abbia più di quarant’anni (qualora lo ignoraste, cliccate qui DOPO aver visto il film).

AL CINEMA

Questo capitolo di storia recente non è nuovo alla settima arte. Ha diversi precedenti legati da un comun denominatore: hanno seguito la versione ufficiale, ossia quella fornita dai militari. Il che non vuol direi sia falsa, solo che sia manchevole di un fondamentale punto di vista, quello di chi c’era. Il regista di Narcos José Padilha ha deciso di raccontarci i fatti basandosi sul libro e soprattutto sulle testimonianze, in primis quella di uno dei piloti sopravvissuti, Jacques Lemoine (presente in conferenza stampa). La prospettiva di oggi è quindi quella dei suoi eroi e riesce a far vedere allo spettatore la vicenda con tanti occhi, pure quelli dei terroristi e dei politici, intenti a prendere decisioni cruciali per sé e per gli altri.

7 Days in Entebbe arriva in Concorso (fuori competizione) a metà Berlinale e riesce subito a “rapire” i presenti. Offrendo molti spunti di approfondimento, e cercando di rimanere fedele all’accaduto, ci ricorda che anche chi imbraccia il fucile ha un’anima. E, probabilmente, l’ultimo giorno di quell’incubo qualcuno ritrovò qualche briciola della propria (anima) evitando di fare una carneficina senza eguali. Il che può essere sgradevole ma è la realtà. Non solo. Senza voler svelare troppi dettagli, vi basti sapere che le zone grigie sono sfruttate a favore del dramma il quale comunque rimane sempre tesissimo.

La pellicola di Padilha non è un documentario ne pretende di esserlo. Forse, proprio per questo – e grazie alle interpretazioni dei suoi protagonisti, Daniel Brühl nei panni di Wilfried Böse e Rosamund Pike in quelli di Brigitte Kuhlmann – riesce nel suo intento: ci fai riflettere su temi necessari, come la paura e la violenza, quanto mai importanti nell’attuale epoca di equilibri fragili, e non dimentica di creare ottimo cinema. 

Vissia Menza

7 DAYS IN ENTEBBE - Official Trailer [HD] - In Theaters March 2018