Recensione del film figlia Mia di Laura Bispuri, in concorso alla Berlinale e nei cinema dal 22 febbraio 2018.
Siamo in Sardegna. Fa caldo. In paese c’è una sorta di rodeo. Le persone si divertono e la piccola Vittoria gira da sola, vede scene che non dovrebbe, trova Tina. Vittoria è una bimba di dieci anni con stupendi capelli rossi. Tina è sua mamma. In famiglia c’è amore e tutto sembra perfetto. Se non fosse che Tina aiuta Angelica, una giovane, sola al mondo, in procinto di perdere la casa in cui vive, incapace com’è di prendersi cura di sé stessa. Tina e Angelica condividono un segreto che si chiama Vittoria. La prima è la donna che la cresce, la seconda è la madre biologica e qualcuno deve aver prestato poca cura ai documenti di adozione perché oggi, per la prima volta, Tina ha paura.
Laura Bispuri torna a Berlino con Figlia Mia. Dopo Vergine Giurata approda in Concorso con una storia di maternità, di gente imperfetta, d’istinti da comprendere e domare. È completamente al femminile e neanche a dirlo conquista subito la critica internazionale. Tocca temi importanti al momento giusto e soprattutto nel modo corretto: con semplicità, equilibrio e speranza.
Perché i nodi verranno al pettine uno ad uno. Vittoria è diversa e spesso isolata, è curiosa e in cerca di risposte o, probabilmente, sta solo crescendo. Angelica, a causa alla sua vita sgangherata, è stritolata dai debiti, medita di andarsene sul “continente” ma poi instaura una curiosa relazione con Vittoria. E la mite Tina si scopre fragile e irrazionale, proprio come gli altri. Le due donne si confronteranno e inevitabilmente scontreranno. Dovranno fare i conti con la propria anima e con la volontà di Vittoria che neppure a dirlo sarà colei che le metterà in riga.
Complice una serie di film sballati visti negli ultimi giorni, il lungometraggio della Bispuri è davvero una ventata di aria fresca, di cui a questo punto si avvertiva la necessità. Con Figlia Mia dimostra di essere cresciuta e di poter competere con vigore all’interno del circuito festivaliero. Forte di un cast perfettamente calato nella parte, in cui alla bionda Alba Rohrwacher tocca il ruolo della madre irresponsabile e alla mora Valeria Golino quello di Tina, si addentra con abilità nell’umana tragedia, e nella difficile posizione di una figlia confusa, senza mai confondere lo spettatore.
Non ci ammorba con discorsi contorti sul bene e sul male. Non fa subdolamente leva sui nostri sentimenti per indurci alla lacrima o, per lo meno, a parteggiare per una o per l’altra. Al contrario, percorre la via del melodramma e lascia sempre aperta la porta ad un futuro migliore. Non ci sono vittime ma persone con le loro complicazioni, i limiti e le cadute. Vediamo attraverso i loro occhi, siamo con loro ma non cerchiamo un colpevole. Abbiamo la certezza si rialzeranno anche quando la ricaduta è imminente.
Figlia Mia è una storia ambientata in Italia, ma non è per forza italiana. Fa riflettere senza suggerire un’opinione. È una fotografia lucida che si lascia ammirare evitando di divenire indigesta. Ha tutte le qualità che deve possedere un dramma per riuscire a farsi amare e trasformarsi in cinema d’autore.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”