Recensione di Loveless, il film vincitore del Premio della Giuria al 70° Festival di Cannes è dal 6 novembre nelle sale italiane.
Alyosha ha 12 anni e non è un bambino felice. Eppure vive a Mosca in un bellissimo quartiere moderno, frequenta con profitto una buona scuola, ha un amico del cuore con cui passa il tempo libero esplorando in bicicletta il parco vicino a casa. I suoi benestanti genitori gli hanno comprato tutto quello che gli serve, nella sua cameretta ci sono un computer e tanti giochi. Ha tutto, ma una cosa gli manca: l’amore di mamma e papà.
Zhenya ha poco più di trent’anni, dirige un centro estetico e vive con il cellulare in mano. Rimase incinta giovanissima e, nonostante la madre le avesse consigliato di abortire, decise di non farlo e di sposare quell’uomo che non amava: aveva delle ambizioni e voleva allontanarsi dalla provincia, oltre che da un ambiente familiare opprimente ed anaffettivo. E’ molto aggressiva e non perde l’occasione di rinfacciare al marito di aver sprecato con lui “i migliori anni della sua vita”.
Boris ha quarant’anni ed è impiegato di buon livello in una grande azienda. Alle sfuriate isteriche della moglie oppone un muro di silenzio, ormai non l’ascolta più. Dato che vive stabilmente con una nuova compagna, un’ochetta ventenne già incinta di 6 mesi, passa da casa solo per cambiarsi d’abito. E per rimbeccare ogni tanto la moglie, perché anche lei ha una relazione, con un pacato uomo d’affari 47enne, vedovo, con una figlia grande che studia in Portogallo.
A questo punto resta loro soltanto una cosa in comune: il bell’appartamento elegantemente arredato, che in vista del divorzio deve essere venduto. Ah, sì, c’è anche Alyosha: e nessuno dei due ha intenzione di accollarsi quel fardello. Potrebbe essere una buona idea rifilarlo alla nonna materna: ma sono in pessimi rapporti, è difficile che lei accetti di prenderlo con sé. Oppure potrebbero metterlo in collegio. Ci penseranno. Tante volte Alyosha ha pianto silenziosamente nella sua camera, ascoltando questo genere di discussioni: una mattina esce per andare a scuola e sparisce.
La prima cosa che ho pensato, mentre assistevo a questo film, è stato che, se non per qualche cartello stradale in cirillico, avrebbe potuto svolgersi in qualsiasi città dell’Europa occidentale, tanto simili sono gli ambienti, i luoghi, le auto, gli abiti di una sorta di borghesia mondiale del tutto omogenea. Sensazione inquietante, perché è facile accettare che certe cose accadano “altrove”, ai “brutti, sporchi e cattivi”, molto meno quando i protagonisti di tali incruente atrocità avvengono a pochi passi da noi, ad opera di persone che ci somigliano tanto.
Due terzi del film sono dedicati alla ricerca di Alyosha, e l’ansia cresce sempre di più, ad iniziare dai primi momenti, quando i genitori per due giorni non si accorgono di nulla: occupati con i rispettivi amanti, pensavano fosse a scuola, o da un amico. La Polizia non ha uomini a sufficienza, troppi ragazzi spariscono ogni giorno; e poi è autunno – dicono – dopo qualche giorno al freddo tornerà a casa. Vengono quindi indirizzati ad un gruppo di volontari specializzati in quel tipo di ricerche, guidati da un efficientissimo ex militare. Nemmeno in quei momenti di angoscia, però, in cui dovrebbero dimenticare tutti i contrasti, Zhenya e Boris riescono a tacere, ad essere di sostegno l’uno dell’altro.
Il film si svolge nel 2012, quando Putin è stato da poco eletto Presidente, e tutto intorno, da radio e televisione, giungono notizie allarmanti e tristissime dalla guerra con l’Ucraina; nei telegiornali le vittime civili invocano aiuto, inascoltate. Lo sguardo del regista sembra dunque volersi ampliare ad un quadro più ampio: la Russia che presenta è una Patria divisa, una terra desolata, dove il solo fine è la pura sopravvivenza, dove l’unica prospettiva per una donna è quella di accoppiarsi con un uomo ricco. E’ una società post-industriale inondata da un continuo flusso di informazioni, ricevute da individui che si interessano alle altre persone sporadicamente e solo per ottenere qualcosa in cambio, in cui ogni individuo pensa solo a se stesso.
L’unico modo per potersi sottrarre a questa mostruosa indifferenza è quello di dedicarsi agli altri, fossero anche estranei: come fanno i volontari, che per cercare il bambino scomparso perlustrano una periferia abbandonata, tra palazzi in rovina che sembrano usciti da STALKER di Tarkovski. E lo fanno con passione, senza ricevere nessuna ricompensa, come se questo fosse l’unico scopo della loro vita. Perché uno scopo che dia senso alle proprie azioni è l’unico modo per combattere la brutalità del mondo e dare ordine al proprio intimo caos.
Siamo perciò di fronte a qualcosa di molto più complesso della banale storia di un brutto divorzio con tragiche conseguenze, o di un impietoso ritratto di persone spaventosamente aride ed egoiste. Gli incubi privati si trasformano in allegoria di una profonda crisi nazionale, il racconto morale scritto e diretto da Andrey Zvyagintsev diventa, come nel precedente LEVIATHAN durissima dichiarazione politica.
Loveless è un film che sono convinta bisognerebbe vedere più volte, per coglierne a pieno tutti i significati. Magnificamente interpretato da attori di razza, è un lungometraggio classicamente lento, che si prende delle pause per permettere allo spettatore di assorbire una scena per volta. Ed è subito, fin dal primo sguardo, un film esteticamente bellissimo, grazie alla limpida fotografia di Mikhail Krichman, giocata su mille sfumature di grigio e azzurro. Insieme con l’appropriata e mai ingombrante colonna sonora di Evgheni e Sacha Galperine, riceveranno il prossimo 9 dicembre gli European Film Awards 2017, che vanno a sommarsi ad una già abbondante messe di premi importanti, dal Premio della Giuria al Festival di Cannes a quelli di Miglior Film ai Festival di Londra, Monaco e Zagabria. E la notte degli Oscar so per chi farò il tifo.
Per adulti consapevoli. Voto: 8
Marina Pesavento
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.