Recensione di El Sonador (The Dreamer), il film di Adrián Saba in anteprima italiana al 27° FCAAAL. 

La locandina del film El Sonador

La locandina del film El Sonador

Sebastian è giovane, forte e solo. Vive nella periferia di Lima e si mantiene con piccoli furti su commissione. I suoi amici sono compagni di sventura, compari di gang, ragazzi che hanno dimenticato la morale. Da quella vita sbagliata Sebastian riesce a volare lontano solo chiudendo gli occhi, ritagliandosi piccole parentesi in cui si astrae e sogna di un amore impossibile. L’amore esiste davvero ed è quello per la bella Emilia, sfortunatamente sorella dei capi della banda per cui “lavora”. Ma si sa, al cuore non si comanda e Sebastian vuole rendere tutto reale.

Dolce, senza scossoni, ricolmo di gesti gentili, il mondo immaginario di Sebastian è meraviglioso. E’ caldo e luminoso, all’occorrenza non lesina tramonti romantici. E’ un rifugio perfetto. E come tutte le cose che non si vorrebbero modificare, la sua fine è vicina. Un errore trasformerà il ragazzo in un bersaglio dai giorni contati. Lo sa lui, lo sappiamo noi. Nonostante il sole a picco sullo schermo, i fremiti non tardano ad invadere la sala.

El Sonador (The Dreamer) arriva anche lui dalla Berlinale 2016, è diretto da Adrián Saba – regista peruviano, classe 1988 – e si tratta di un’opera seconda. Un’opera seconda che ci ipnotizza, ci porta dall’altra parte del globo e ci fa rimanere saldamente al fianco di Sebastian, mentre il tempo scorre e il suo domani diviene costellato di pericoli. Qualcosa di brutto deve accadergli, perché alla gente come lui la fortuna volge sempre le spalle. Ansia e speranza si alternano cadenzati da un metronomo immaginario; più la quiete perdura, più dobbiamo accertarci che ci sbagliavamo. Ma Sebastian si dimostra più saggio di noi, lui conosce le regole del gioco. Ci prova, poi si adegua e affronta il suo destino.

Il lungometraggio in concorso in questi giorni al 27° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina riesce a sedurci per la raffinatezza delle inquadrature, per il garbo della narrazione, per le esitazioni e gli sguardi innocenti del suo protagonista (Gustavo Borjas). Per il realismo mai forzato e per quell’aura magica in cui Saba ha saputo avvolgere un dramma che poteva essere durissimo sino a straziarci l’anima. Il suo Sebastian sa farsi amare e siamo convinti non meriti una vita in cui non c’è spazio per i sogni.

Vissia Menza