Un commento finale e alcuni film in evidenza tra quelli visti ai gala serali della Berlinale 2017.
Come ogni anno ci sono diversi tappeti rossi che una star deve calcare. Se al Berlinale Palast i riflettori sono puntati sui lungometraggi in competition, al Friedrichstadt Palast son quelli out of competition ad attirare la folla. I Berlinale Special Gala 2017 sono stati molti e vari. Per lo più ha dominato un cinema patinato, con cast noto soprattutto a nord delle Alpi (molti i nomi che giocavano in casa o quasi), con argomenti spesso impegnati ma sempre senza eccessi.
Alcuni titoli hanno attirato la nostra attenzione. Di questi, una parte sarà amabilmente dimenticata, un’altra messa nel cassetto in attesa di distribuzione e un’ultima ricordata con qualche paragrafo qui di seguito. Ecco le pellicole Berlinale Special Gala 2017 che hanno dominato quattro delle nostre serate berlinesi e ci hanno fatto tastare il polso del pubblico, vero cuore pulsante della kermesse.
La Reina de España
Vincerà il nostro personale premio dell’opera più sgangherata, della messa in scena più caricaturale, del film di grande richiamo meno riuscito di questa edizione. Il regista Fernando Trueba porta in Berlinale, a quasi 20 anni di distanza da La niña dei tuoi sogni, La Reina de España sequel ideale di quella pellicola. E, in effetti, Trueba riesce a riunire il cast di un tempo (protagonista è sempre Penélope Cruz) e a trascinare in una nuova avventura la del cinema Macarena Granada (la Cruz) e il resto del gruppo di attori. Il punto è che cambia l’anno (dagli anni ’40 passiamo agli anni ’50), cambia il set (dalla Germania alla Spagna), cambia il dittatore (da Hitler a Franco) ma nulla di più e si sente un forte odore di polvere e chiuso. Quella che viene spacciata per operazione-nostalgia, o omaggio al cinema del passato che dir si voglia, abbiamo il timore sia frutto di un immobilismo voluto e cercato. Quasi che il cineasta fosse davvero convinto che qui fuori una fetta di pubblico “conservatore” lo avrebbe portato in trionfo come fece a suo tempo (quando vinse ben 7 premi Goya). Invece, non solo la decade ma, pure, il millennio è cambiato e queste gag, questa recitazione e questo genere di plot risulta davvero fuori tempo massimo – nonostante la bella parentesi canterina della povera Penelope Cruz che appare sola in un mare di comparse. In sala ci si è annoiati e molte sono state le fughe avvantaggiandosi della penombra.
The Young Karl Marx
Anche le menti più geniali hanno avuto un’infanzia e una gioventù come noi, semplicemente ce ne dimentichiamo. Raoul Peck (si, esattamente quel signor Peck autore di I am not your Negro, attualmente candidato all’Oscar®), che a Berlino si è diplomato in cinema, decide di puntare sugli anni giovanili di Karl Marx per raccontarci chi fosse l’autore de Il Capitale. E cosi ci fa fare un viaggio tra Parigi, Bruxelles e Londra in compagnia di Marx, della consorte Jenny e del grande amico Friedrich Engels. Ce li rende umani, imperfetti seppur geniali e in alcuni casi simpatici. Sono giovani e impetuosi come molti di noi. Tra lunghe chiacchierate filosofiche e la ricerca di pubblicazione (e di cibo), la pellicola sviluppa una trama a tratti noiosetta che non ci fa assopire solo perché siamo curiosi di scoprire il lato umano che si cela dietro alla grande mente e qualche dettaglio che nei testi scolastici non è mai arrivato. Il trucco funziona ma non ci impedisce di notare una recitazione poco frizzante, probabilmente irrigidita dalla spessa patina da nobile prodotto per la TV che avvolge tutto il racconto. O, forse, rimaniamo tramortiti dalle strabordanti disquisizioni sullo stato dei lavoratori di cui abbiamo appreso tra i banchi l’epilogo. Visione sicuramente interessante ma eccessiva al punto di far percepire i 112 minuti di lunghezza come fossero 240. Molti l’hanno apprezzato, non so se per partito preso o per convinzione. Secondo noi Peck rende meglio nel documentario rispetto alla fiction.
In Times of Fading Light
Rimaniamo in tema di comunismo, ma cambiamo periodo e protagonisti. La storia della famiglia Powileit si aggancia al passato recente, è un dramma che ci porta indietro di soli trent’anni. È lo specchio di una decadenza che oggi sappiamo essere stata inevitabile e ci stringe il cuore man mano che conosciamo Wilhelm, il protagonista di oggi, nonché il gran festeggiato. Esatto, In Times of Fading Light è la cronaca del novantesimo compleanno di nonno Wilhelm (un sempre convincente Bruno Ganz) e della festa che sua moglie Charlotte ha organizzato in suo onore invitando parenti, vicini di casa e membri del partito comunista, quel partito a cui l’uomo ha dedicato la vita. Varcare la soglia della loro dimora ci porta in un mondo che abbiamo sfiorato, ma mai capito sino in fondo. Respirare la loro aria per poco meno di due ore ci illumina e ricorda come non avessero altra possibile via di uscita. Le loro vite segnate, anacronistiche, ai nostri occhi sono al limite del grottesco, aprono più di un sipario ridicolo, ma il riso è amaro e soprattutto di una tristezza infinita. Il film di Matti Geschonneck (su sceneggiatura di Wolfgang Kohlhaase) è una dolce istantanea di una bolla in procinto di scoppiare. Mostra una delle tante famiglie dell’ex-DDR a pochi mesi dalla caduta del Muro di Berlino, del collasso della divisione tra EST e OVEST e offre un insolito punto di vista, interno, intimo e non univoco. Perché a quella giornata di festa partecipano quattro generazioni e ognuna vede la situazione con occhi differenti. Gli ideali cambiano e le priorità pure. Tanta è l’amarezza degli avi e noi, ai titoli di coda, proviamo un mix di malinconia e smarrimento.
Maudie
Chiudiamo la nostra carrellata spostandoci dalla politica all’arte. Ci trasferiamo dalla casa, di una famiglia numerosa, in una Germania prossima alla riunificazione, alla minuscola casetta di legno, nella lontana Nuova Scotia (Canada) di Maud e Everett Lewis. Dopo essere stato presentato in anteprima ai festival di Telluride, Toronto e Vancouver, Maudie è approdato in Berlinale 2017, forte dei premi ottenuti e pronto portare a casa nuovi applausi e consensi – pure i nostri. Di questo lungometraggio avevamo già scritto [un clic QUI] ma ci piace ricordarvelo perché parla di volontà, amore e arte con grazia ed equilibrio. Ha imposto (a Sally Hawkings) rigore e molto impegno, ci ha fatto scoprire l’innocenza e la joie de vivre della pittura di Maud Lewis e continua a non balzare agli onori della cronaca. Che sia troppo garbato? Può darsi…
Quest’anno abbiamo, infatti, avuto la percezione di una imposizione del format televisivo, seppur accurato e dall’altissimo budget, e di una gran voglia di politicamente corretto. Ci siamo divertiti a scoprire tanti biopic, tante trasposizioni di chilometri d’inchiostro, tante storie romanzate che attingevano al reale. Abbiamo altresì percepito che i tempi delle interminabili standing ovation [un memorabile esempio QUI] o delle risate fuori dagli schemi [personalmente, sto ancora aspettando che qualcuno mi nomini questo] siano sempre più lontani. Non possiamo quindi che augurarci che l’attesa dei Berlinale Special Gala 2018 porti consiglio a qualcuno. ..
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”