Recensione di Caffè, il film di Cristiano Bortone in anteprima ai Venice Days 2016.
C’è una bevanda che sin dalla sua scoperta ha fatto il giro del mondo ed è in grado di accomunare culture anche molto distanti: il caffè. Il suo infuso nero e aromatico cambia consistenza e miscela da paese a paese ma è presente con una sua tradizione in ogni continente. Nella stessa Europa gli italiani sono famosi per il loro concentratissimo espresso, ben distante dalla soave e diluita versione diffusa nei territori anglo-sassoni.
Che abbia un fondo sabbioso, sia poco più di un cucchiaio oleoso o una sorta di the dal gusto ben noto poco importa, il caffè ci fa sentire in pace. E di pace i protagonisti della pellicola diretta da Cristiano Bortone ne hanno una spasmodica necessità. Perché Renzo, Hamed e Fei sono tre uomini di generazioni e provenienze diverse, accomunati dai preziosi chicchi e da un profondo bisogno di quiete. Sono vittime inconsapevoli del nuovo millennio, e delle loro scelte, e oggi si troveranno di fronte ad un bivio. Messi alla prova dagli eventi, e dal fato, probabilmente non risolveranno del tutto il loro disagio ma si metteranno infine in gioco.
Hamed è iracheno e vive in Belgio, ha un banco dei pegni che in seguito ad una manifestazione viene saccheggiato. Il maldestro ladro perde il portafoglio, offrendo la possibilità ad Hamed di affrontarlo direttamente. Ciò che accadrà avrà più di un risvolto inatteso e dipingerà in pochi fotogrammi un problema enorme: il razzismo incondizionato dilaniante intorno a noi.
Renzo è un barista romano che perso il posto decide di tentare la fortuna trasferendosi con la fidanzata a Trieste. È un esperto di caffè ed insegue il sogno di un lavoro non precario, possibilmente nel settore. Il ragazzo si ritrova invece a vivere abusivamente in palazzo malconcio e a lavorare a giornata in un’azienda che commercia proprio il suo amato caffè. Il colpo di testa sarà sempre in agguato perché la disperazione e la mortificazione dei sogni sono in grado di rendere reali i gesti più folli. Ce la farà?
E poi, dall’altra parte del globo, c’è Fei, un rampante manager in procinto di sposare una ricca ereditiera, la figlia del capo. La sua vita è un idillio sino al giorno in cui viene inviato in provincia, a verificare le conseguenze di un incidente in una fabbrica nello Yunnan, regione famosa per la produzione di caffè. La sua vera natura prenderà improvvisamente il sopravvento e provocherà un testa a testa tra presente e passato dalle conseguenze dirompenti.
Il caffè sarà l’elemento decisivo nelle vite dei tre sconosciuti, tre uomini alle prese con l’accettazione, la solitudine e la tristezza. Ogni storia mette in risalto una situazione al limite, ogni storia ha un colore dominante (livido, neutro o caldo), ogni storia parla una lingua diversa. La precarietà lavorativa, il razzismo incondizionato e la ricerca di un riscatto sociale segneranno le vite dei protagonisti sino a far loro superare pericolosamente il punto di non ritorno.
Il film di Bortone è una favola dolce e amara, frutto della collaborazione tra Italia, Belgio e Cina. Ha un evidente respiro internazionale e si sforza di scattare un’istantanea dei tempi moderni andando oltre le comuni barriere. Il tentativo è lodevole e siffatta cooperazione sarà senz’altro foriera di futuri progetti di successo. La sceneggiatura è una carezza laddove avrebbe potuto osare e somministrare un sonoro schiaffo a tutti coloro che sonnecchiano e sono malati d’indifferenza e/o insofferenza (soprattutto negli episodi europei del racconto). I messaggi sono, infatti, forti e nella direzione giusta. Non convince del tutto la scelta di una linea costantemente morbida. Equilibrio e delicatezza, coerenti nel poetico capitolo cinese, risultano, infatti, poco incisivi in quello italiano, in cui un amarissimo ristretto avrebbe strappato anche ai più restii applausi convinti. In ogni caso, Caffè è un’opera interessante e diversa da quanto attualmente nelle sale.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”