Recensione del film HEARTSTONE di Gudmundur Arnar Gudmundsson in anteprima a Toronto 2016 

Il poster del film HEARTSTONE

Il poster del film HEARTSTONE

Gli esperti sostengono che a parte sporadici flashback, conserviamo i ricordi dall’adolescenza in poi. In effetti, a ripensarci, non ci è difficile ripercorrere episodi legati ai nostri 16/ 17 anni ma prima? La sensazione è di aver vissuto in una nebulosa, in totale stato confusionale. In realtà, tra i 12 ed i 14 anni è stato faticoso: eravamo bambini a tutti gli effetti ma con una gran fretta di diventare grandi e non sentirci più vulnerabili. Così facendo eravamo i peggiori nemici di noi stessi, e il tumulto dei sensi incontrollato di cui eravamo preda non ci rendeva le cose più semplici. Forse, è un meccanismo di autodifesa ed è giusto che quel periodo della nostra esistenza scivoli nell’oblio del tempo.

Thor e Christian ci sono dentro fino al collo. Sono due pre-adolescenti che per loro fortuna sono complici e riescono a sopportare la cattiveria dei propri coetanei, l’invisibilità agli occhi degli adulti ed i comportamenti inopportuni dei bulletti locali. i due ragazzini vivono in un villaggio lontano da Reykjavík, un paradiso agli occhi di una persona in cerca di una vacanza immersa nella natura, un incubo fatto di mormorii, noia e distanza siderale da stimoli di qualsivoglia genere, per Thor e Christian. Decisamente un luogo rischiosissimo se non si è conformati al resto del branco, come in questo caso.

Photo: courtesy of TIFF

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Heartstone, presentato a Venezia 2016, e poco dopo al TIFF’16, è un’emozionante storia di amicizia e di crescita, focalizzata su quella delicata fase della vita in cui si ha la costante sensazione di non essere compresi e si ha la certezza di non comprendersi. I due giovani stanno iniziando a scoprire e a scoprirsi ma più uno dei due (Thor), seppur con timore e conflittualità, si getta nell’esplorazione della vita, più l’altro (Christian) scivola verso il baratro perché sensibile e maggiormente oggetto di un malsano chiacchiericcio. La parabola discendente di Christian sarà inversamente proporzionale alla presa di forza di Thor.

Il film è un debutto (di Gudmundur Arnar Gudmundsson nel lungometraggio), ed è un ottimo debutto. In arrivo da una terra tanto lontana e molto più fredda rispetto alla nostra, quale l’Islanda, Heartstone riesce a colpire forse proprio per questo motivo le corde dello spettatore mediterraneo. Nonostante l’argomento sia stato più che sfruttato nel cinema, il regista ci fa amare i suoi personaggi: aiutato dall’universalità del tema trattato, con grazia, ci fa provare le indecisioni e le paure dei due amici.

Photo: courtesy of TIFF

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La crudeltà dei bambini, la distanza dei genitori, il duro percorso affrontato in solitudine dai due è impresso sulla pellicola in modo tanto dolce quanto efficace grazie anche alla bravura dei protagonisti. Come i due ragazzi comunichino tante sensazioni con un gesto, un fugace sguardo o un sospiro è qualcosa di magico. Baldur Einarsson (Thor) e Blær Hinriksson (Christian) sono due giovanissimi attori che hanno le carte in regola per diventare grandi, ci hanno conquistati.

Heartstone ha vinto il Queer Lion ai Venice Days 2016. La tematica gay in effetti è presente, ma è una carezza, nella seconda parte si ritaglia il suo spazio sebbene non ci faccia mai dimenticare di essere difronte ad una storia in cui dei bambini si muovono per la prima volta da soli, si schivano, si esplorano e diventano inconsapevolmente, e dolorosamente, grandi. Heartstone non è “cinema gay”, è un film su quel percorso ad ostacoli che è il diventare adulti e, con alcuni limiti del tutto trascurabili, l’addentrarsi nella loro mente per mano di Gudmundur Arnar Gudmundsson è sorprendente. Heartstone è fine, diretto, toccante e ci apre, con attenzione e determinazione, meandri della memoria spesso impossibili da mettere a fuoco.

Vissia Menza

Photo: courtesy of TIFF

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