Recensione del film Vincent in anteprima in Piazza Grande a Locarno 2016
Vincent ha 17 anni, è introverso, è arrabbiato ed è determinato a suicidarsi. Vincent è il classico figlio problematico in cerca di attenzione che non la ottiene e decide di riversare la propria rabbia contro sé stesso e il resto del mondo. Quello che Vincent non ha calcolato è la zia, la sorella di mamma, che all’improvviso arriverà da Parigi.
Nikki, anche lei ribelle, anche se adulta e apparentemente più assennata del giovane nipote, decide di portare il ragazzo con se nella Ville Lumiere con lo scopo dichiarato di fargli “trovare il suo totem” e con il segreto intento di far arrabbiare la sorella ossessiva-repressiva. Nikki avrà ragione, ma prima di raggiungere la meta, vivrà anche lei un incubo. Sempre on the road da est ad ovest, dalle Fiandre alla capitale di Francia, dal Nord al Mediterraneo attraversando la campagna, la storia di Vincent decolla subito e ci porta via con se.
Il terzo lungometraggio del regista Christophe Van Rompaey, in anteprima in Piazza Grande a Locarno 2016, è una sorpresa. La trama che induceva a credere fossimo difronte all’ennesima storia di gioventù bruciata non ci aveva fatto ben sperare, invece il registro adottato (quello della commedia, all’occorrenza grottesca, velata di tristezza) e i dialoghi, a seconda dei casi, scorretti, provocatori, dolorosi ci hanno regalato una piacevole parentesi.
D’altro canto Vincent è nato sfidando non pochi problemi. È stato realizzato in tempi brevissimi, per non compromettere gli esami di fine anno del giovane interprete (Spencer Bogaert andava al liceo mentre girava il film), e la scena sotto la Torre Eiffel è stata costellata d’incidenti (addirittura con la polizia), il che ha imposto un lavoro più lungo del previsto. Alla fine, questo piccolo lungometraggio, ha avuto la sua rivincita: ci ha fatto ridere di un dramma, ci ha ricordato la sofferenza di chi è solo, e ci ha indotto a riflettere sulla sottile linea che demarca l’esibizionismo da una richiesta di aiuto, reale, necessaria, umana.
Vincent è un racconto garbato ma lucido, con una prosa diretta e asciutta, come si confà al mondo nordico. Tocca temi importanti, e li alleggerisce con un tocco di humor. Che siate vegani, adolescenti capricciosi, ambientalisti o abbiate a che fare con rapporti o relazioni impolverate, che sappiate cosa vuol dire rimanere incinta per inesperienza o abbiate un carattere soffocante, che vi sentiate repressi, depressi o dei guerrieri, in almeno una battuta riuscirete a riconoscervi e a sentirvi più normali.
Ce n’è per tutti e mai si avverte un eccesso di lacrime o risa. Van Rompaey rimane in equilibrio e pian piano la nostra insofferenza verso quel ragazzino testardo si tramuta in speranza che trovi il suo baricentro, perché è sulla strada giusta, anche se ancora non lo sa. E, come ogni persona inconsapevole, alla fine potrebbe far del bene a sé stesso e agli altri.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”