Recensione di GODLESS di Ralitza Petrova

il film vincitore del Pardo d’Oro a Locarno 2016

Un'immagine di Godless - Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Un’immagine di Godless – Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Gana (Irena Ivanova) assiste e si prende cura di anziani affetti da demenza, in un remoto e sonnolento paesino della Bulgaria. La donna approfitta della sua posizione per sottrarre ai pazienti i loro documenti personali, venduti poi sul mercato nero ed utilizzati in un giro criminale di furti di identità.

La vita di Gana è una depressa, trascinata routine fatta di demotivata criminalità, dipendenza da morfina, un fidanzato distaccato ed una madre silente.
Un giorno però la morte accidentale di un’assistita alza la polvere attorno all’attività di Gana, mentre l’incontro con un nuovo paziente fa il resto: Yoan, anziano musicista dalla personalità sensibile e umorale, scuote ed affascina l’intorpidita badante, inducendo un’inattesa ed irreversibile crisi di coscienza.

Godless, che sbanca la 69° edizione del Festival di Locarno portandosi a casa il Pardo D’Oro, è il primo lungometraggio della regista bulgara Ralitza Petrova: l’autrice nata a Sofia, alle spalle una gavetta di tre cortometraggi, scrive e dirige un dramma spigoloso, mestissimo, che manda per lunghi tratti un messaggio senza speranza.
Lo cuce attorno ad un solo, miserabile personaggio, una badante con un animo svuotato ed un aspetto trasandato, anti-eroina senza pretese e senza sogno alcuno, che trova granelli di serenità negli analgesici. La condotta della protagonista è illegale, ma più dolorosa che cattiva, e rifrange più compassione che odio.

Un'immagine di Godless - Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Un’immagine di Godless – Photo: courtesy of Festival del film Locarno

A darle forma è l’esordiente e folgorante Ivanova, che si porta a casa – sempre da Locarno – il premio dedicato alla migliore attrice.
L’accettato annullamento di Gana è lento come la narrazione di Godless: il film abbraccia quei tempi di narrazione silenziosi e genuflessi, con dialoghi minimali e lunghissime pause. È cinema alto, viscerale; impegnato, ma anche impegnativo.
Dopo novanta minuti amari e disillusi, di un drammatico realismo che azzanna alla gola, arriva una chiusura ambigua e nebulosa che complica un po’ l’interpretazione, la redenzione e le implicazioni “teologiche”.

Mai come in questo caso il titolo della pellicola sintetizza tono, messaggio ed essenza di ciò che la sua regista vuole inquadrare: lo scorcio di Bulgaria che esplora è una terra arida e dimenticata, quasi ripudiata da qualsiasi entità superiore, con le fetide azioni umane senza limiti, esentate dai castighi divini e concesse da quelli autoritari.
La tragica e logora umanità di Godless è a pezzi e fredda come una chiesa sconsacrata, talmente lontano dalla luce che la sua anima, quasi, non esiste neanche più.

Luca Zanovello

Un'immagine di Godless - Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Un’immagine di Godless – Photo: courtesy of Festival del film Locarno