La presentazione di Ken Loach e Dave Johns di I, DANIEL BLAKE

il film vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2016 e del Prix du Public UBS a Locarno 2016

L’abbiamo visto a Cannes 2016 e abbiamo pianto. L’hanno visto a Locarno e hanno pianto. I, Daniel Blake è un meraviglioso calcio nello stomaco. Di quelli che prendiamo volentieri perché è una storia dolce, delicata, vera, tangibile, dolorosa.

L’ultima fatica del cineasta britannico Ken Loach ha vinto a maggio la Palma d’Oro sur la Croisette e ha vinto ieri sera il Prix du Public UBS in Piazza Grande a Locarno. Di nuovo, il film è una sofferenza e di nuovo mette tutti d’accordo.

Nonostante I, Daniel Blake non sia ancora arrivato sui grandi schermi nostrani, a questo punto probabilmente avrete intuito la trama, in caso contrario, eccola. È la storia del signor Blake, un artigiano, un vedovo, un brav’uomo che a causa di un infarto si ritrova inabile al lavoro a soli sessant’anni. Il calvario per ottenere il sussidio statale è surreale, grottesco, disumano, assurdo. In questo girone dantesco Blake incontra una giovane con due bimbi a cui si affeziona. La aiuterà sino alla fine.

Il lungometraggio ha visto la luce con inusuale rapidità (è stato scritto e girato nel 2015, approdando subito a Cannes) e con altrettanta rapidità sta conquistando i cuori di ogni dove. Era inevitabile che questo legame speciale  con lo spettatore diventasse oggetto di domande durante la conferenza stampa. Abbiamo deciso di condividere quanto emerso con voi, per farvi pregustare la visione di un’opera tanto semplice quanto toccante.

Forse non tutti sanno che gli uffici che si occupano di sussidi e ricerca di occupazione che vediamo (vedrete) sono frutto di un viaggio attraverso il Paese che hanno compiuto i due uomini (Loach e Johns). Sono partiti dal Midland per terminare nella città natale dello stesso Johns, un luogo di persone appartenenti proprio alla working class. Gli ambienti in cui si dispensa il cibo, invece, erano reali, con veri addetti e veri frequentatori. Cosa che ha contribuito alla forza delle scene.

Sicuramente, inoltre, il fatto che Dave Johns non conoscesse il finale sino al giorno in cui l’ha girato ha avuto un effetto benefico sulla riuscita del film. Un film che non poteva avere un lieto fine. Sarebbe stato sbagliato dare un happy ending ad una tragedia che rispecchia una situazione tanto preoccupante. Ogni settimana sono, infatti, centinaia di migliaia le persone nel Regno Unito che si recano al banco alimentare perché non riescono a provvedere al proprio sostentamento. Comprensibile quindi che in ogni supermarket vi siano cestini in cui si può lasciare una conserva, un alimento per i poveri.

Ultima peculiarità che spiega la finezza dell’opera è il modus operandi del regista. Non dice che lente sta per usare, ti incita ad essere spontaneo, condivide l’indispensabile e non è invadente. Il motivo? “The position of the camera should be like an observer, a sympathetic observer (…) you are standing in a corner of the room, you are observing what happens, you are touched by the people in front of you, you show them respect by not being too close (…) the lenses and the camera should be like the human eye … if you see the film through the human eye you respond in a human way … experiencing solidarity with the characters and that way you understand them as you would if  you were in a room with the people”. (*)

Serbando queste parole gentili attendiamo che I, Daniel Blake arrivi presto nei cinema per conquistare anche voi.

Vissia Menza

n.d.r. un clic sulle foto per ingrandirle 

(*) “La cinepresa deve essere come un osservatore, un osservatore comprensivo (…) sta in un angolo, osserva cosa accade, rimane colpito dalle persone che gli stanno difronte e mostra loro rispetto non avvicinandosi troppo (…) le lenti e la camera devono sostituire l’occhio umano … se vedi il film con sguardo umano, rispondi in modo umano… provi solidarietà coi protagonisti e li capisci come se fossi nella stanza con loro”