Recensione del film Donald Cried di Kris Avedisian

Una scena di Donald Cried - Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Una scena di Donald Cried – Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Peter torna a casa dopo quindici anni di assenza. L’occasione è un lutto. Deve sgomberare e vendere la casa di nonna oltre ad arrangiare la ultime volontà. Sulla strada perde accidentalmente il portafoglio e si ritrova bloccato in Rhode Island. Ha bisogno di un piccolo prestito, ma con la gente del luogo non ha mantenuto i contatti. La salvezza pare essere il dirimpettaio, Donald, l’amico d’infanzia, il compagno di scuola. Donald oggi è in casa. L’incontro è folgorante.

Donald è surreale, sembra uscito da una pellicola di decadi fa. L’abbigliamento, i modi, i discorsi sono fuori tempo, pare un ragazzino (un po’ tonto) intrappolato nel corpo di un adulto e Peter è a disagio sin dal primo abbraccio. Non ha scelta. Stringe i denti e sorride. Intanto sarà questione di qualche minuto. Poi se ne potrà andare.

Da quell’incontro, che avrebbe dovuto durare il tempo di un saluto, e di una richiesta di aiuto, prende il via quella che sarà una lunga ed estenuante giornata. Sarà un tour (forzato) della città, di persona in persona, di luogo in luogo. E la totale assenza di filtri di Donald renderà le situazioni imbarazzanti e grevi, in alcuni casi persino inopportune. Donald è stano, è fragile, è pieno di difetti. Donald ha un gran bisogno di riferimenti e d’amore.

Kris Avedisian è Donald nel film Donald Cried - Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Kris Avedisian è Donald nel film Donald Cried – Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Donald Cried, il film in concorso a Locarno 2016 nella sezione Cineasti del Presente, è un urlo disperato, è un’immagine talvolta esagerata e in altre mitigata, inizialmente divertente e poi grottesca, delle umane debolezze. Il nostro Donald (lo stesso Kris Avedisian) riunisce in sé ciò che tutti celiamo, la solitudine, i fallimenti, i sogni infranti. È il perdente per eccellenza, è l’eterno fanciullo, è l’uomo senza speranze che non ricorda cosa siano i progetti. E ancora, è l’accettazione del nulla, è l’emblema della via verso la depressione, è l’assenza di ideali. Lo rifuggiamo e… sbagliamo.

Lo strazio maggiore arriva, infatti, quando si affaccia una domanda: Peter, colui in cui crediamo (e vogliamo) rispecchiarci, il rampante uomo in carriera, è davvero realizzato e felice? Perché non pare essere attorniato da affetti pronti a supportarlo, sembra solo conformato, standardizzato, ed agisce come si confà a un qualunque uomo adulto. A questo punto crolliamo.

Alla fine, dopo l’iniziale disorientamento, Peter ricorderà quella giornata per sempre e noi, seduti dall’altra parte dello schermo, uscendo dalla sala sogniamo d’incontrare per caso Donald o qualcuno di molto simile, in grado di darci una sgangherata, durissima, scossa.

Il film di Kris Avedisian è una di quelle perle indie che si fanno amare in dieci minuti e rendono i Festival come Locarno unici e preziosi. Ci rammenta che la vita è incasinata, spesso ci fa sentire miseri e/o colpevoli, ma la cosa più importante è non dimenticare mai chi siamo (e da dove veniamo), perderemmo la capacità di sognare.

Vissia Menza

Una scena di Donald Cried - Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Una scena di Donald Cried – Photo: courtesy of Festival del film Locarno